Tamburrino Nicola– 11 giugno 2025

Sotto questo cielo, che continua a cambiare ma resta sempre lo stesso, l’Italia si guarda allo specchio e si chiede: ha ancora senso votare?
Sempre meno persone ci credono. Non è solo sfiducia, è disillusione. È la sensazione, sempre più diffusa, che andare alle urne sia come lanciare una bottiglia nel mare: un gesto simbolico, ma senza risposta.
Ci ricordiamo tutti quel balcone. Palazzo Chigi, 2018: “Abbiamo abolito la povertà”. Un annuncio epico, quasi da film. Oggi suona come una battuta. E intanto, fuori da quei palazzi, le bollette crescono, i contratti sono a termine, i giovani fanno le valigie e gli anziani contano gli spicci per arrivare a fine mese.
Nel frattempo la politica cambia faccia, colore, hashtag. Ma le facce vere – quelle nei supermercati, nei mezzi pubblici, negli uffici in affitto con i neon rotti – restano le stesse. E ogni volta che si vota, qualcuno ci dice che “questa volta sarà diverso”. Ma non lo è mai.
E così la gente si stanca. Smette di crederci. Si tiene il diritto al voto come un ricordo, ma non lo esercita più. Perché a cosa serve scegliere, se poi non cambia niente?
Il problema è che lasciare la scheda in bianco non svuota il potere. Lo consegna a chi grida di più. A chi semplifica tutto, anche le paure. A chi promette scorciatoie che diventano strade chiuse.
Ma allora cosa resta? Resta la domanda. Resta il bisogno, urgente, di una politica vera. Che non viva solo su Twitter, che non si limiti agli slogan. Che sappia tornare nelle piazze, nei quartieri, nelle periferie. Che smetta di parlare dall’alto – dai balconi – e torni a guardare negli occhi le persone.
Sotto questo cielo, c’è ancora spazio per ricominciare. Ma servono parole nuove, gesti sinceri, e politici che non recitano, ma ascoltano.
E forse, allora, torneremo a votare. Non per abitudine. Ma per speranza.