Il compagno che spiegava troppo

Fausto Bertinotti è tornato. Di nuovo. In un’intervista, in un talk show, su un quotidiano. Con la solita voce vellutata, il tono grave, le citazioni di Gramsci e Pasolini dosate come spezie in un piatto raffinato. Il tutto condito da un cappotto elegante, una sciarpa in tinta, e l’immancabile aria da pensatore fuori dal tempo.

E ogni volta, puntuale, ci spiega come dovrebbe essere la sinistra.

Ora: Fausto, con tutto il rispetto… basta.

Hai guidato Rifondazione Comunista. Hai fatto il Presidente della Camera. Hai avuto il tuo tempo. E soprattutto, hai fatto abbastanza danni da poterti permettere oggi almeno un po’ di silenzio operoso. Magari mentre ti dedichi alla poesia. O al decoupage. O all’agricoltura sociale in terrazza.

Perché ogni volta che la sinistra cerca di ripartire, di trovare un senso in mezzo alle sue mille contraddizioni, spuntano fuori gli ex-leader con la ricetta perfetta. Ma sempre dopo che hanno mandato tutto a rotoli.

Bertinotti ci ha regalato la sinistra dei salotti, della contemplazione, della testimonianza. Ha sacrificato il pragmatismo sull’altare dell’identità. E poi ha mollato tutto, quando era troppo tardi per ricucire.

E oggi ci spiega. Sempre. Ancora. Di nuovo.

Fausto, lo diciamo col sorriso: hai già spiegato abbastanza. Hai teorizzato, elaborato, annunciato, previsto. Hai fatto la rivoluzione con le cravatte di lino. Ma forse è arrivato il momento di lasciar parlare chi oggi ci mette la faccia, anche sbagliando.

Non è obbligatorio essere eterni. Non è vietato starsene zitti.

E se proprio senti l’urgenza di commentare, prova a farlo con le piante. Sono pazienti, ascoltano, e non vanno in crisi identitaria ogni tre settimane.

Un po’ di compost, un po’ di silenzio e tanto sole: magari vale anche per la sinistra.

Un telespettatore stanco di sentirsi spiegare tutto da chi ha già sbagliato abbastanza.