Episodio 14 – Una canzone, uno sguardo…

Con quella dedica, semplice e sincera, si accese la scintilla che cambiò tutto

Il secondo anno in collegio era cominciato con un ritmo diverso.
Più intenso, più serio.
Matteo Ferri lo sapeva bene: a fine anno c’era l’esame, il diploma.
E lui non voleva semplicemente passare.
Voleva uscire con il massimo.

Per orgoglio, certo. Ma soprattutto per rispetto: per la madre che lo attendeva ogni estate con le mani indaffarate e gli occhi lucidi, per il fratello che aveva appena cominciato le medie e lo prendeva come esempio.
E per se stesso. Per il ragazzo che era stato e per l’uomo che stava cercando di diventare.

Le giornate scorrevano dense: lezioni, studio, lavoro in sala. Il tempo sembrava bastare appena per respirare.
Eppure, Matteo non rinunciò mai a partecipare alle attività comuni con il convitto femminile.
Quelle manifestazioni erano un modo per uscire, anche solo per un’ora, dal rigore del collegio.
Uno spazio diverso, fatto di parole nuove, di sorrisi non incasellati nei turni o nei voti. Da qualche settimana, tra lui ed Eleonora stava nascendo qualcosa.
Un’intesa silenziosa, un’affinità sottile, ancora senza nome ma impossibile da ignorare.

Eleonora era la sorella minore di Elena, una ragazza del terzo anno di magistrale.
Eleonora frequentava il primo anno. Due anni di differenza, ma negli occhi di quella ragazza c’era una maturità sorprendente, quasi inattesa.

Non partecipava alla recita, ma veniva spesso alle prove: una loro compaesana era nel gruppo, e quella era la scusa perfetta per restare un po’ di più.
Matteo lo sapeva: veniva anche per lui.
E lui, per quanto tentasse di restare concentrato sul suo ruolo dietro le quinte, ogni volta che la porta si apriva la cercava con lo sguardo.

All’inizio erano stati solo scambi rapidi, battute leggere tra una pausa e l’altra.
Poi, sguardi più lunghi.
Poi, attese.
Avevano iniziato a cercarsi anche fuori dalle prove: una passeggiata nel cortile, un saluto rubato nella sala comune, un biglietto infilato tra i fogli di una cartellina.

Era qualcosa di nuovo, incerto, ma bellissimo.
Diverso da ciò che Matteo aveva vissuto a Gressoney con Maria, la ragazza conosciuta l’estate precedente.
Lì c’era stato il calore delle montagne e un’attrazione timida, sfiorata appena, poi svanita.
Qui era diverso.
Qui c’era la concretezza dei piccoli gesti, la forza di una presenza costante.
Qui c’era rispetto. Attesa. E un’intimità fatta di sguardi.

A dicembre si presentò la prima vera prova del fuoco: la recita di Natale, una rappresentazione organizzata insieme tra i due convitti.
Un progetto semplice ma sentito, con prove serali, costumi improvvisati e scenografie costruite a mano.
Matteo, come sempre, si mise a disposizione.
Non salì sul palco – non era il tipo da luci puntate e frasi a memoria – ma dietro le quinte c’era lui: a coordinare tutto, come un direttore d’orchestra silenzioso.

Aveva imparato a guidare un gruppo senza imporsi.
A far girare il lavoro degli altri, alleggerendo i carichi e sostenendo chi si stancava.

La sera della recita fu un successo.
La platea applaudì più volte, anche nei punti in cui il testo si inceppava.
Gli educatori erano entusiasti, la direttrice fece i complimenti uno a uno.
Perfino il direttore, noto per la sua rigidità, si avvicinò a Matteo e gli sussurrò:
— “Hai fatto un lavoro serio. Pulito. Complimenti.”

Quella sera, finita la recita, seguirono dei momenti musicali organizzati dal gruppo della scuola.
Qualcuno accennò due canzoni con la chitarra, poi toccò a lui.
Da qualche mese, oltre alla fisarmonica, Matteo aveva cominciato a suonare anche un po’ la tastiera.
Niente di professionale, ma abbastanza da accompagnare un brano.

Si sedette davanti allo strumento, aggiustò il microfono e disse:
— “Questa canzone la dedico a una persona speciale. Sa lei chi è.”

Poi cominciò a suonare Io che non vivo (senza te) di Pino Donaggio.
Le note si diffusero nella sala con dolcezza, struggenti e sincere.
Matteo cantò con voce ferma, ma negli occhi c’era un tremolio che chi lo conosceva poteva riconoscere.

La dedica aveva sicuramente fatto centro…………………..
Lo capì dal modo in cui Eleonora abbassò appena lo sguardo e sorrise.
Non parlò, non si avvicinò, ma quel gesto bastava.
Un attimo silenzioso e pieno, che diceva molto più di mille parole.

Più tardi, finita la festa, si avvicinò alle due sorelle per salutarle.
Elena, la maggiore, elegante nel modo in cui si muoveva, lo ringraziò per la serata con un sorriso sincero.
Eleonora, invece, sorrise appena. Non disse nulla.
Ma nei suoi occhi c’era qualcosa che parlava da sé.
Una promessa, forse. O soltanto un “ci sono”, muto ma limpido.

Poi tornarono verso le loro camerate.
E lui verso il suo convitto.

Mentre saliva le scale, Matteo si voltò un’ultima volta.
Le vide svanire oltre un portone, lente, quasi sospese.
Come in una scena di un film.

E capì, senza bisogno di dirsi niente, che qualcosa stava davvero cambiando…..

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