Episodio 17 – L’arte di dare e ricevere

Quando l’impegno si trasforma in sorpresa e gratitudine
Con l’arrivo dell’autunno, Matteo Ferri si immerse nello studio con una concentrazione nuova.
Preparava cocktail con la stessa attenzione con cui un artigiano modella il legno: ogni gesto pesato, ogni guarnizione pensata.
Per lui non era più solo una materia da scuola.
Era diventato un linguaggio.
Uno dei compagni, un giorno, lo fermò sulle scale.
— «Ferri… mi dai una mano con alimenti? Ho l’orale di recupero.»
— «Non sono mica un prof.»
— «Appunto. Tu lo spieghi meglio.»
Matteo ci pensò. Poi, prima di accettare, si rivolse a uno degli insegnanti.
— «Secondo lei… potrei essere d’aiuto?»
— «Assolutamente sì. Prova.»
Così iniziò.
Prima uno. Poi due. Poi quattro.
Le serate si riempirono di voci, appunti scarabocchiati, libri aperti, battute.
— «Come si dice buonasera in tedesco?»
— «Buona… schnitzel?»
Risero tutti. Anche Matteo.
Ma poi spiegò con calma, e alla fine, quel compagno lo ripeté perfettamente.
Non era sempre facile.
C’erano sere in cui avrebbe solo voluto dormire, o guardare fuori dalla finestra senza dire una parola.
Ma poi bastava un “grazie” sincero, e la stanchezza diventava soddisfazione.
All’inizio, qualcuno storceva il naso.
— «Ferri… ma chi te lo fa fare? Ti prendono per il prof del convitto.»
Era Marco, uno dei più svegli, ma anche dei più disillusi.
Poi, una sera, si presentò con la giacca sbottonata e il libro in mano:
— «Senti… posso unirmi anch’io?»
Intanto continuavano le attività comuni con il convitto femminile: piccoli eventi, tornei, giochi, momenti che rompevano la routine.
Matteo era sempre presente.
Affidabile, preciso, rispettoso.
Aveva imparato a stare nel gruppo senza spingere, eppure facendosi notare.
Dopo la Befana, al rientro in camerata, trovò qualcosa sopra il letto.
Una busta. Poi due.
Cioccolata.
Sigarette.
Biglietti scritti a mano, con frasi semplici e affettuose:
“Perché ci hai creduto più tu di noi.”
“Grazie, prof. Meglio di quelli veri.”
Ogni sera se ne aggiungeva una.
Era il modo dei ragazzi per dire grazie.
Senza cerimonie.
Senza clamore.
Con gesti.
Matteo si commosse.
Aveva sempre vissuto con poco.
E ora riceveva qualcosa che non si poteva comprare: rispetto.
Affetto.
Riconoscimento.
Con tutta quella cioccolata avrebbe potuto aprire una bancarella.
Ma non era merce.
Era gratitudine.
In un pomeriggio tranquillo, incontrò Elena ed Eleonora.
Consegnò loro due bustine di cioccolata.
— «Ma da dove arriva tutta questa roba buona?» chiese Elena, ridendo.
Matteo raccontò tutto.
Eleonora lo ascoltava in silenzio, con uno sguardo limpido, pieno.
— «Giuro che è tutto vero. Non è una cavolata…»
— «Lo so,» rispose lei.
Fece una pausa. Poi aggiunse:
— «Sei bravissimo. Sono contenta di averti trovato.»
Quelle parole lo colpirono più di qualsiasi regalo.
Non lo facevano sentire speciale.
Lo facevano sentire visto.
Accolto.
Poco dopo, iniziò a dare ripetizioni anche a Eleonora e a due sue amiche: tedesco, francese, qualche aiuto con le letture.
Sempre con il consenso dei superiori.
Lo faceva con naturalezza, senza sentirsi “bravo”.
Era il suo modo per esserci.
E intanto, dentro, qualcosa cambiava.
Si sentiva più utile.
Più parte di qualcosa.
Più vivo.
E capì, senza bisogno di dirlo ad alta voce,
che la felicità a volte è questo:
dare senza aspettare.
E ricevere senza chiedere.