Lo scandalo edilizio milanese e il silenzio selettivo dei moralisti a intermittenza

A Milano è scoppiato l’ennesimo scandalo edilizio, un sistema di corruzione che dimostra — se mai ce ne fosse ancora bisogno — che il marcio non ha colore politico. Il cemento si sporca tanto a destra quanto a sinistra, di sotto e di sopra, e pure di lato. Eppure, come spesso accade, i cosiddetti “puri”, i moralisti a intermittenza, tacciono.

Mi riferisco, ad esempio, a quei radical chic da tastiera che solitamente si indignano a giorni alterni, pronti a lanciare hashtag e indignazioni lampo quando conviene, ma che stavolta restano muti. Nessun post, nessun tweet, nessun carosello su Instagram. Silenzio.

Eppure il tema è centrale: la città che si vanta di essere la locomotiva d’Italia, modello europeo di sviluppo, continua a essere ostaggio di un sistema di favori, appalti truccati, relazioni torbide tra pubblico e privato. La storia ci insegna che il “partito della pagnotta” — come ho scritto pochi giorni fa nell’articolo — non muore mai. Cambia pelle, si traveste, si rinnova, ma resta sempre uguale: un enorme stomaco da riempire.

Il problema, però, non è solo chi corrompe o chi si lascia corrompere. Il problema siamo anche noi, spettatori passivi o indignati a comando. Se la corruzione è trasversale, lo dovrebbe essere anche la nostra capacità di indignarci, senza guardare alla tessera politica. Invece, la coerenza spesso si ferma davanti al like facile e al tifo da stadio.

Se vogliamo davvero un Paese diverso, dobbiamo avere il coraggio di denunciare tutto: non solo gli scandali “comodi”, quelli che fanno guadagnare consensi tra i propri follower, ma anche quelli che scottano, che mettono in difficoltà “gli amici”.

Milano oggi ci offre l’ennesima occasione per dimostrare se siamo davvero interessati alla legalità oppure se ci limitiamo a usarla come arma politica. La città simbolo dell’efficienza, dove “si lavora”, si conferma ancora una volta laboratorio di potere e compromessi.

Chi tace è complice.