Il peso di restare

✍️ Non tutti se ne vanno. Alcuni restano.
Ma restare, in Italia, non sempre significa costruire.
A volte significa solo adattarsi, rinunciare, arrendersi a un futuro in stand-by.


🔸 La storia di Marta

Marta ha 29 anni. Vive ancora nella sua città, in provincia di Avellino.
Una laurea in lettere moderne, un tirocinio in biblioteca comunale, poi anni di attese e lavoretti: commessa, segretaria, call center.

“Non mi sono mai sentita povera, ma invisibile. Come se non esistessi davvero per il Paese.”

Non è mai partita. Un po’ per paura, un po’ per senso di responsabilità verso i genitori.

“Ogni tanto ci provo a mandare curriculum altrove. Ma poi mi chiedo: davvero voglio ricominciare da zero a 1.000 km da qui? Davvero devo andarmene per vivere dignitosamente?”


🔸 Rimanere non è sempre una scelta

Il discorso pubblico spesso contrappone chi parte e chi resta.
Ma non è una gara. E spesso, chi resta, non lo fa per amore del territorio.

Resta perché non può permettersi di andare.
O perché ha ancora una briciola di speranza che qualcosa cambi.

Ma questa speranza ha un prezzo:
📉 il tempo che passa
🕰️ le competenze che si arrugginiscono
💤 la voglia che si spegne


🔸 Una generazione ferma

L’Italia non è solo un Paese che perde talenti.
È anche un Paese che li immobilizza.
Che li tiene sospesi in un limbo fatto di contratti a termine, stage infiniti, “ti facciamo sapere”.

Restare, per molti, significa sopravvivere.
E sopravvivere non è vivere.


🔸 Nessuno applaude chi resta

Chi resta non è celebrato.
Non viene valorizzato.
Non ci sono investimenti nei territori, né politiche per farli fiorire.

Il rischio?
Che i migliori non se ne vadano
ma che si spengano restando.


🔸 Il peso di restare

Il Paese parla molto di chi parte.
Ma dimentica chi resta.

Chi resta, spesso, lo fa con le tasche vuote e il cuore pieno.
Con le idee pronte, ma nessuno spazio per farle vivere.

Il futuro non è solo dove si va.
È anche dove si può rimanere.

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