
Un passo avanti, silenzioso ma decisivo
Matteo Ferri era completamente immerso nello studio, ormai la sua unica priorità.
Le partite a scacchi e i momenti di svago con il poker erano diventati ricordi lontani.
Ogni giorno lo vedeva chino sui libri, attento in laboratorio, concentrato a perfezionare ogni gesto.
Le sue mani cominciavano a parlare una lingua nuova, fatta di precisione e rispetto.
Ogni esercitazione era un passo avanti, ogni pagina letta un frammento di strada conquistata.
In quell’impegno costante, Matteo trovava anche una forma di pace.
Sentiva di avere un compito. Un dovere. E questo lo rendeva saldo.
Un episodio curioso accadde durante l’organizzazione di un concorso di flambè.
Sebbene non fosse tra i partecipanti, fu incaricato di curare la logistica.
Accettò con serietà, ma senza pretese.
Fu proprio durante la preparazione che un compagno di stanza gli chiese aiuto.
Aveva poche idee per la ricetta, ed era in difficoltà.
Matteo lo ascoltò. Poi, con discrezione, scrisse per lui una proposta completa: ingredienti, procedimento, mise en place.
Un gesto silenzioso, quasi anonimo. Ma pieno di cuore.
Alla fine, proprio quella ricetta vinse il concorso.
Il compagno fu premiato. E nessuno seppe mai del contributo di Matteo. Nessuno, tranne Eleonora.
A lei, in un momento tranquillo, raccontò tutto.
Lo disse senza vantarsi, quasi sottovoce.
Lei lo guardò e disse solo:
— “Hai fatto bene.”
Fu in quell’istante che Matteo capì una cosa importante:
la vera soddisfazione non è essere applauditi, ma sapere di aver fatto la cosa giusta.
Ma non tutto era semplice.
C’era la stanchezza, a volte. C’erano i momenti in cui lo studio sembrava troppo.
E, soprattutto, c’era la mancanza della famiglia.
Quel vuoto silenzioso che non si dice, ma che abita dentro.
Matteo non lo faceva vedere, ma a volte la sera, prima di dormire, gli mancava sentire le voci di casa.
Sua madre. Suo fratello. La normalità di un piatto cucinato con amore.
Ma sapeva anche che quel sacrificio era parte del cammino.
Che certe assenze servono a capire cosa conta davvero.
Intanto, la Pasqua si avvicinava.
E con essa una nuova avventura.
Matteo, Elena ed Eleonora, insieme ad altri due ragazzi, erano stati selezionati per lavorare a San Martino di Castrozza.
Per Matteo ed Elena era un ritorno.
Per Eleonora, il primo lavoro.
Un salto. Un passo nel mondo adulto.
Matteo lo sapeva. E si sentiva responsabile.
Voleva che per Eleonora fosse un’esperienza bella, pulita, incoraggiante.
Voleva starle vicino. Ma senza invadere. Solo esserci.
La mattina della partenza era frizzante, luminosa.
I ragazzi si ritrovarono al piazzale Dante con i borsoni in spalla e lo sguardo pieno di aspettative.
La corriera era già lì, pronta.
— “Siamo sicuri che non è un campo militare, vero?” disse uno ridendo.
— “Al massimo ci fanno lucidare le posate con la lingua…” rispose un altro.
Elena, con la valigia rossa e la calma di chi ha già vissuto certe esperienze, li guardò con un mezzo sorriso:
— “L’importante è che non ci facciano stirare i pensieri…”
Matteo aiutò Eleonora a caricare la sua borsa.
Non era grande, ma sembrava contenere più emozioni che vestiti.
Si guardarono un attimo.
Solo uno sguardo. Ma lungo, pieno.
— “Pronta?”
— “Da ieri…”
Salendo per ultimi, si sedettero vicini. Non parlarono. Non serviva.
Trento si allontanava lenta.
Il cuore, invece, correva veloce.
Verso un’altra sfida.
Un’altra occasione.
Un altro inizio, insieme.
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