Introduzione – Figli del secondo binario

Il racconto di Matteo Ferri e di chi partiva senza certezze

Ci sono storie che iniziano con una scelta. E altre che iniziano con una partenza.
Quella di Matteo Ferri appartiene alla seconda categoria. Non per fuga, né per avventura, ma per necessità. Una necessità silenziosa, concreta, come quella che spinge molti a lasciare un paese dimenticato, con una valigia leggera e un futuro ancora da inventare.

Queste pagine non sono una biografia in senso stretto. Non inseguono l’ordine cronologico né celebrano un eroe. Sono piuttosto una memoria scritta a ritroso, per custodire i segni di un’epoca. E forse restituirli a chi, oggi, guarda con occhi nuovi un mondo che non c’è più.

Siamo nel 1969, un anno di tensioni e cambiamenti. Mentre nelle città si protestava con slogan e bandiere, in certi angoli d’Italia il cambiamento passava attraverso gesti quotidiani: alzarsi all’alba, imparare una regola, condividere un pasto con chi parlava un altro dialetto. In quei silenzi nasceva una rivoluzione diversa.

Il titolo, Figli del secondo binario, è un omaggio a quei ragazzi partiti senza certezze, venuti da famiglie modeste, da infanzie brevi. Il secondo binario era quello delle partenze obbligate, del lavoro come unica via di riscatto. Non portava alla gloria, ma alla dignità.

Matteo era uno di loro. Non cercava un sogno, ma una possibilità. Cresciuto in un piccolo paese arroccato tra i monti dell’Abruzzo, a oltre mille metri sul livello del mare, viveva in un borgo dove le case sembravano abbracciarsi per resistere al tempo. La vita lì era bella e dura insieme: si condivideva tutto, ma si avevano poche scelte.

Rimasto orfano di padre, Matteo viveva con la madre e il fratellino. Accanto, lo zio – figura solida e presente – dava una mano sia affettiva che economica. Grazie a lui, alla mamma non mancava l’essenziale. Eppure, Matteo sapeva che quella vita non gli bastava.

Dopo la terza media, scelse di non proseguire al liceo. Non perché non fosse capace, ma perché desiderava costruirsi presto un futuro. Optò per una scuola alberghiera all’interno di un convitto statale per orfani: vitto, alloggio e formazione inclusi. Una struttura che offriva non solo un mestiere, ma una disciplina, un senso di direzione.

Gli amici più grandi gli parlavano di hotel eleganti, ristoranti importanti, opportunità lontane. Matteo ascoltava e capiva: non cercava solo un lavoro, ma un riscatto. E quel convitto, quella scelta, quel treno preso senza garanzie, erano l’inizio silenzioso del suo cammino.
Non so se queste pagine serviranno a qualcuno.
Ma forse diranno qualcosa a chi ha percorso strade simili.
O a chi oggi guarda i binari e si chiede dove portano.

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