Matteo lascia il convitto per l’Isola d’Elba, tra lacrime e speranze. Il traghetto, il taxi lungo le strade panoramiche, le parole dell’educatore che per lui era stato come un padre. L’arrivo in albergo segna l’inizio di una nuova fase della sua vita: la sfida del lavoro vero e la fine delle sicurezze del convitto.

Ogni partenza porta con sé un misto di entusiasmo e malinconia. Matteo lo scoprì sulla propria pelle quando arrivò il momento di lasciare il convitto per intraprendere la sua prima vera esperienza di lavoro all’Isola d’Elba.
Tornato a Trento con due giorni di anticipo, aveva trascorso ore preziose con Eleonora. Lei era serena, certa della promozione, e si preparava con entusiasmo alla stagione estiva. Insieme girarono per negozi e vetrine: Matteo, con i soldi messi da parte fin dalla Pasqua, volle regalarle qualche piccolo pensiero. Lei si oppose inizialmente, ma alla fine cedette. Non erano i regali a contare, ma la premura con cui Matteo cercava di rendere meno amaro l’addio.
Il giorno della partenza, Matteo salutò il direttore del convitto. La stretta di mano fu più di un gesto formale: era il congedo da un luogo che gli aveva dato disciplina, amicizie e sostegno, ma che ora doveva lasciare per fare spazio a una nuova fase.
Alla stazione lo attendeva la scena più difficile. Eleonora, informatasi di nascosto sull’orario del treno, corse ad abbracciarlo davanti a tutti. Le lacrime scesero senza freni, lasciando Matteo senza parole. Non aveva mai visto una ragazza piangere così per lui. Fu l’educatore a intervenire con delicatezza, staccandola dal suo abbraccio e cercando di consolarla. Poi il treno si mosse, e Matteo si trovò catapultato nell’ignoto, portando con sé quell’immagine che gli sarebbe rimasta impressa per anni.
Nel vagone, l’educatore sedette accanto a lui. Era stato una guida costante, quasi un padre, e in quel momento le sue parole risuonarono come un testamento morale:
«Matteo, so che ti senti smarrito. È naturale. Quando lasciamo un luogo che ci ha protetto, la paura prende il sopravvento. Ma la vita ti sta chiamando. Non dimenticare ciò che desideri: lavorare, viaggiare, crescere. Ogni sacrificio ha senso se ti avvicina ai tuoi sogni. E ricorda: gli errori non devono spaventarti, perché saranno i tuoi veri maestri.»

Matteo lo ascoltò in silenzio, con lo sguardo rivolto al paesaggio che scorreva fuori dal finestrino. Le montagne trentine si allontanavano, lasciando spazio a nuove terre e nuove sfide. I compagni di viaggio, piano piano, si unirono alla conversazione: tra battute e immaginazioni sull’albergo che li attendeva, la tensione si sciolse. La presenza dell’educatore li faceva sentire ancora protetti, ma tutti sapevano che presto avrebbero dovuto camminare da soli.
Dopo ore di viaggio, arrivarono a Piombino. Per Matteo fu un impatto forte: non aveva mai visto un porto così grande e affollato. Navi, marinai, auto in fila per l’imbarco, passeggeri con valigie e borse. Tutto era movimento, rumore, vita. Salire sul traghetto fu un’esperienza nuova. Matteo osservava curioso le manovre dell’equipaggio e, una volta a bordo, rimase incantato dal mare aperto. Il vento gli accarezzava il viso, il profumo di salsedine riempiva i polmoni, e il sole giocava con i riflessi delle onde. In quell’ora e venti di traversata, capì di trovarsi davvero in un altro mondo.
Quando il traghetto attraccò a Portoferraio, lo accolse un paesaggio che sembrava uscito da una cartolina. Case colorate che si specchiavano sull’acqua, colline verdi alle spalle e un porto vivace dove la gente si muoveva rapida e sicura.
Un taxi li condusse verso l’hotel. Matteo guardava fuori dal finestrino rapito: curve che svelavano scorci improvvisi di mare turchese, vigneti ordinati sulle colline, ulivi secolari e piccoli borghi che sembravano sospesi nel tempo. Ogni dettaglio parlava di un’isola ricca di bellezza e mistero.
All’arrivo, il direttore dell’albergo li accolse con poche parole chiare: puntualità, ordine, rispetto. Non c’erano più educatori a fare da tramite. Da quel momento erano soli, chiamati a dimostrare di essere all’altezza.
Prima di lasciarli, l’educatore li radunò ancora una volta. «Ragazzi, ricordatevi: qui non siete più allievi, siete lavoratori. Avrete giornate faticose, ma anche soddisfazioni. Abbiate coraggio e non dimenticate quello che vi ha insegnato il convitto.» Poi posò una mano sulla spalla di Matteo e disse: «Tu sei pronto. Non avere paura.»

Hotel Hermitage Isola d’Elba – LI
Quando se ne andò, Matteo avvertì un nodo alla gola. Quella partenza sanciva davvero la fine di un’epoca. Non c’erano più le mura protettive del convitto, né le regole che scandivano le giornate. Ora c’era il mare davanti, un albergo da scoprire e una nuova vita che cominciava.