
Ogni estate i borghi di montagna si trasformano in villaggi vacanze a tempo determinato. Per un mese scarso, parcheggi introvabili, tavolate infinite di arrosticini e vino rosso, luminarie e fuochi d’artificio che sembrano Las Vegas in miniatura. Poi arriva settembre, e resta il silenzio. Anzi, resta l’eco di un “arrivederci” detto a mezza bocca, mentre le persiane si chiudono con un tonfo secco e i trolley rotolano giù per i vicoli come l’ultimo treno della stagione.
Il copione è sempre quello: i residenti restano a guardare. Fanno da comparse in un film che non hanno mai scritto, spettatori permanenti di un teatro che si accende solo d’estate. Dodici mesi l’anno a vivere con servizi sempre più carenti, i bancomat che invece di aumentare diminuiscono, le scuole e gli asili che chiudono o restano aperti a singhiozzo, e l’ufficio postale che funziona a giorni alterni… se non nevica, perché in inverno la neve qui arriva sul serio. Eppure, un applauso lo devono sempre concedere. Perché, almeno, il paese ha visto un po’ di vita.
E poi arrivano loro, i grandi strateghi della rinascita rurale: quelli che pensano che la soluzione sia semplice. Aumentiamo l’IMU sulle seconde case! Geniale. Così magari facciamo scappare anche chi, con fatica e nostalgia, tiene viva la casa dei nonni due settimane l’anno. Risultato: meno gente, meno tasse, meno vita. Un capolavoro di programmazione economica. Al Ministero della Fuga Silenziosa potrebbero darci una medaglia.
Perché il ragionamento è sempre quello: se una cosa funziona poco, tassiamola di più. Tanto, che problema c’è? I borghi mica devono vivere di ritorni, di memoria e di affetto. Devono vivere di bilanci in pareggio, preferibilmente firmati da qualcuno che il paese lo conosce solo in cartolina.
Intanto, le vere esigenze dei borghi restano lì: strade che sembrano piste da rally, ospedali sempre più lontani da raggiungere, servizi medici che brillano per assenza. E allora, ecco l’altra grande idea: inauguriamo una buca riasfaltata. Taglio del nastro, fascia tricolore, foto su Facebook e commenti entusiasti. “Bravi, finalmente!”. È la filosofia del contorno: un lampione nuovo come se fosse la Tour Eiffel, un pezzo di marciapiede come se fosse la Muraglia Cinese.
Eppure, la verità è che i borghi hanno già una ricchezza che basterebbe da sola: aria pulita, fresco d’estate, silenzio che in città si paga a peso d’oro. Con il cambiamento climatico, le montagne potrebbero diventare il nuovo mare. Ma per sfruttare questa occasione servono tre paroline magiche che, in politica, valgono come una bestemmia: visione, volontà e coraggio.
- Visione, per capire che il turismo non è solo “un mese d’agosto” ma può essere lento, diffuso, culturale, esperienziale.
- Volontà, per investire davvero in chi vuole vivere lì, non solo in chi ci passa una settimana.
- Coraggio, per andare oltre la foto con fascia e la promessa da campagna elettorale, rischiando di cambiare davvero le cose.
Ma no, meglio il solito teatrino: d’estate tutti in fila per la sagra della porchetta, d’inverno tutti in fila all’ufficio anagrafe… chiuso.
Intanto i giovani continuano a scendere a valle o a emigrare del tutto. Perché? Perché nei borghi il lavoro non c’è, i servizi mancano, e spesso anche la speranza si arrende. Ma di questo si parla poco: meglio mettere in copertina i fuochi d’artificio della festa patronale, che fanno più like di una statistica sulla disoccupazione.
Così ogni anno la scena si ripete identica: trolley che partono, persiane che sbattono, anziani che salutano con la mano, e un paese che resta in silenzio ad aspettare. Un silenzio che non è pace, è sospensione. Un limbo che dura nove mesi, finché non torna la carovana agostana con la scorta di valigie, caciocavallo sottovuoto e bambini urlanti.
E la cosa più assurda è che i borghi non muoiono di vecchiaia. Muoiono di abbandono programmato, di tasse mal pensate, di servizi negati. Muoiono quando diventano scenografia e smettono di essere comunità.
Perché, diciamolo chiaramente: i borghi non hanno bisogno di altre inaugurazioni ridicole. Hanno bisogno di idee. Idee per restare vivi, per trattenere chi c’è e accogliere chi vorrebbe venire. Idee che non finiscano con un “arrivederci” sussurrato tra una valigia e un finestrino abbassato.
Ma finché continueremo a scambiare la politica con la posa davanti a un buco rattoppato, possiamo anche rassegnarci: i paesi d’altura resteranno sempre più leggeri, svuotati, trasformati in cartoline nostalgiche da appendere in salotto.
E allora, che altro dire? Arrivederci. Anzi, a rischio di sembrare ottimisti: arrivederci e, forse, chissà, un giorno anche bentornati.
Riflessione:
In montagna i servizi aumentano, sì… ma di distanza.
L’ospedale? Lo inauguriamo a 50 km. La scuola? A 30. Il bancomat? Sparito, ma con grande cerimonia.
E il sindaco, con fascia e forbici, taglia nastri come se aprisse ponti sullo Stretto.
Così nei borghi la vera innovazione è semplice: non portare la gente ai servizi, ma i servizi sempre più lontano dalla gente.
Arrivederci, e mi raccomando: portatevi il pranzo al sacco per il viaggio.