Tra auto elettriche e contraddizioni di un’Italia che arranca

Atessa resiste. Lo stabilimento Stellantis della Val di Sangro, ex Sevel, continua a produrre. Non è un dettaglio: in un’Italia industriale segnata da chiusure, crisi e ridimensionamenti, questo angolo d’Abruzzo resta uno dei pochi poli che garantisce numeri significativi.
Ma resistere non significa vivere bene. Significa, semmai, arrancare in equilibrio precario, mentre il mondo intorno cambia velocemente e chi decide sembra farlo altrove, lontano dalle fabbriche e dalle comunità che di quelle fabbriche vivono.
Un pilastro produttivo
I numeri non lasciano dubbi: nel 2024 Stellantis in Italia ha prodotto 462.000 veicoli, di cui ben 192.000 a Atessa. Quasi la metà. È la prova che la fabbrica abruzzese è ancora oggi un pilastro dell’industria nazionale, un cuore pulsante che tiene in piedi intere filiere.
Eppure, all’inizio di settembre, al rientro dalle ferie, mancavano all’appello 400 lavoratori. La cosiddetta “separation”, l’uscita incentivata, ha ridotto gli organici. Si produce meno: due turni invece di tre, 650 veicoli al giorno invece dei 970 teorici.
Non è un crollo, ma è un segnale. Un lento ridimensionamento che pesa sul futuro di chi resta e sull’indotto, fatto di fornitori, trasportatori, piccole aziende che vivono delle commesse Stellantis.
La transizione che divide
“Questa transizione ecologica ci sta togliendo il lavoro”, denunciano I sindacati,. Le parole fotografano una contraddizione evidente: il Ducato endotermico continua a vendere, perché chi lo acquista lo fa per lavorare e cerca affidabilità e convenienza. Il Ducato elettrico, invece, è fermo a 5 o 6 veicoli al giorno, numeri quasi simbolici.
La legge europea che impone lo stop ai motori endotermici nel 2035 viene definita dal sindacato “legge capestro”. E per i veicoli commerciali leggeri il problema è ancora più marcato: chi lavora con un furgone cerca autonomia, praticità, costi contenuti. L’elettrico oggi non garantisce ancora queste condizioni.
Ecco allora il paradosso: si riducono turni e organici, mentre il prodotto tradizionale continua ad avere domanda. Una transizione pensata come obbligo dall’alto rischia di trasformarsi in un colpo basso per un territorio già fragile.
L’effetto sociale
Ogni riduzione di organico non è solo un numero, ma una storia. A Atessa e nei paesi vicini, Stellantis non è una fabbrica qualunque: è l’ossatura di un’intera area. Migliaia di famiglie hanno vissuto, studiato, costruito case e futuro grazie alla fabbrica della Val di Sangro.
La cassa integrazione e i contratti di solidarietà sono diventati routine. Ma routine non significa normalità. Significa incertezza, paura di non arrivare a fine mese, di non sapere se l’anno prossimo ci sarà ancora un lavoro.
E significa desertificazione del territorio: se l’industria frena, i giovani se ne vanno, l’indotto collassa, i paesi si svuotano. La catena non è difficile da immaginare, eppure sembra invisibile a chi prende decisioni a Bruxelles o a Torino.
Resistere non basta
“Il Ducato è il Ducato”, dicono i sindacati quasi a voler sottolineare che un marchio storico, un prodotto affidabile, non può essere sacrificato sull’altare di un’ideologia verde che non guarda alla realtà dei mercati. Ma resistere non basta.
Resistere significa produrre meno, con meno lavoratori, aspettando che qualcuno dall’alto decida se e come l’elettrico diventerà competitivo. Significa vivere alla giornata, sperare che gli ordini arrivino e che i conti tornino.
Non è così che si costruisce il futuro.
L’Europa e il buon senso
La transizione ecologica è necessaria: nessuno lo mette in dubbio. Ma va fatta con buon senso, senza sacrificare interi settori produttivi e territori sull’altare della fretta.
Se l’Europa vuole davvero guidare il cambiamento, deve creare le condizioni perché il mercato elettrico sia competitivo: infrastrutture, incentivi veri, costi accessibili. Non si può imporre un cambiamento senza garantire alternative praticabili.
Altrimenti, a pagare saranno i lavoratori. E insieme a loro intere regioni, come l’Abruzzo, che non hanno molte altre carte da giocare.
Atessa, specchio d’Italia
La vicenda di Atessa non riguarda solo la Val di Sangro. È lo specchio di un Paese che vive da anni una transizione incompiuta: industria che resiste ma si riduce, giovani che partono, politica che rincorre invece di guidare.
In questo quadro, Stellantis di Atessa rappresenta una sorta di ultima trincea: resiste, produce, dà lavoro, ma a un prezzo crescente. Quello della precarietà, dell’incertezza, della paura del domani.
La domanda finale
La domanda allora è semplice: quanto può durare una resistenza senza progetto?
Atessa non può essere lasciata sola a reggere il peso della transizione. Servono scelte politiche, industriali, sociali. Serve che Stellantis, il Governo e l’Europa assumano fino in fondo la loro responsabilità sociale, non solo ambientale.
Perché l’ambiente si difende anche difendendo il lavoro, la dignità delle persone, il futuro dei territori.
👉 “Atessa resiste, sì. Ma se il Ducato corre a batterie nuove, il territorio rischia di restare scarico. Ed è qui che sorge la vera domanda: Atessa resiste, ma a che prezzo? Una domanda che dovremmo porci tutti, prima che il prezzo diventi troppo alto da pagare. E noi, da Sotto il cielo – Pensieri Scomposti, saremo qui a ricordarlo.”