La sanità italiana: export di cervelli, import di cerotti

“Formiamo i medici, ma li curiamo… con il biglietto di sola andata.”

C’è un settore in cui l’Italia riesce a primeggiare senza rivali: formare medici bravissimi e poi perderli per strada. È la nuova disciplina olimpica del nostro Paese: dieci anni di studio, sacrifici delle famiglie, tasse universitarie, notti insonni in corsia, e alla fine… biglietto di sola andata per l’estero.

Il bello è che non ci sorprendiamo più. Lo diciamo con la stessa rassegnazione con cui commentiamo i treni in ritardo o la bolletta del gas: “Eh, se ne vanno tutti”.

Ma tranquilli, la toppa c’è. Non arrivano fondi, non arrivano concorsi regolari, non arrivano contratti stabili. Arrivano… medici dall’estero.


Turismo sanitario all’italiana

Funziona così: i nostri partono, altri arrivano. Una sorta di Erasmus al contrario.
In alcune regioni italiane è già diventata routine: c’è chi annuncia con orgoglio l’arrivo dei nuovi professionisti come se stesse presentando una squadra di calcio. “Abbiamo bisogno di rinforzi? Eccoli!”

E allora eccoci qua: corsie trasformate in villaggi turistici. “Vieni per il mare, resta per il pronto soccorso”.
L’assurdo è che, mentre importiamo dottori come fossero cerotti colorati, continuiamo a perdere sangue dai nostri professionisti, quelli formati qui, che scappano verso stipendi più alti, contratti veri e condizioni di lavoro decenti.


Le scorciatoie che diventano strade maestre

Non è una novità: in Italia amiamo la scorciatoia più della strada dritta.
Abbiamo inventato le sanatorie lampo, i condoni a tempo determinato, i progetti “provvisori” che durano decenni. Potevamo forse farci mancare anche la medicina d’emergenza per il sistema sanitario?

Invece di valorizzare chi è già in corsia, inventiamo soluzioni estemporanee.
È un po’ come tappare le crepe di una diga con chewing-gum alla fragola: funziona un giorno, il giorno dopo ti ritrovi con i piedi a mollo.


Il paradosso delle poltrone

E intanto, sulle poltrone che contano, nessuno pare preoccupato. I medici scappano, ma le sedie in prima fila restano sempre occupate.
Qui sta il vero miracolo della sanità italiana: il turnover esiste solo nei reparti, non negli uffici di comando.

Così, mentre i nostri giovani laureati partono in cerca di futuro, i corridoi ministeriali restano popolati da chi il futuro dovrebbe costruirlo, ma preferisce limitarsi a convocare conferenze stampa.


Professionisti a tempo determinato

Il risultato è grottesco: medici che arrivano con contratti a tempo, chiamati per “tamponare l’emergenza”, come se la salute fosse un cerotto da cambiare ogni sei mesi.
Ma la salute non si tampona: si cura. E per curare serve stabilità, non improvvisazione.

Pensateci: chi di noi vorrebbe essere operato da un chirurgo che, appena finito l’intervento, deve chiedere all’ufficio personale se il contratto gli copre anche i punti di sutura?


La fuga silenziosa

La verità è che i nostri professionisti se ne vanno non perché manchi la passione, ma perché manca il rispetto.
Un medico italiano, dopo dieci anni di studi, si ritrova a fare turni massacranti con stipendi che spesso non superano quelli di un impiegato medio. E mentre lui lotta per pagare l’affitto, legge sui giornali che la soluzione al collasso del sistema è importare colleghi da altri Paesi.

Il messaggio che passa è devastante: qui non conti, qui non resti, qui non hai futuro.


Non è un problema di passaporti

Chiariamo subito un punto: non è una questione di nazionalità. Un medico bravo è sempre una ricchezza, ovunque sia nato.
Il problema è la logica con cui lo Stato sceglie di affrontare la crisi: non valorizzando chi già c’è, ma cercando scorciatoie che danno l’illusione di funzionare.

È un po’ come affittare un ombrellone a fine estate: ti ripari dal sole per due settimane, ma l’anno dopo sei punto e a capo.


La vera emergenza

Non è l’arrivo dei medici dall’estero. È la partenza dei nostri.
Perché se i corridoi degli ospedali restano senza professionisti italiani, non basterà nessuna toppa, nessuna conferenza stampa, nessun contratto temporaneo a salvare la sanità pubblica.


Conclusione

Alla fine, la sanità italiana rischia di diventare come certe strade provinciali: rattoppata, piena di buche, mai rifatta davvero.
E il paziente? Sempre in lista d’attesa, con la speranza che almeno il cerotto tenga fino alla prossima emergenza.

Slogan finale:
👉 “Non servono medici cubani o italiani. Serve un’Italia che smetta di curarsi con le scorciatoie.”

“Spunto dalla cronaca nazionale, rielaborato in chiave satirica per Pensieri Scomposti.”