Episodio 29 – Il viaggio verso Sestriere: Matteo e la sua prima stagione da adulto (Dicembre 1971)

Dal piccolo paese d’Abruzzo al cuore del Sestriere: la prima stagione d’inverno che trasformò un ragazzo in un giovane adulto

Matteo arrivò al Sestriere il 5 dicembre 1971. Aveva appena sedici anni: un’età che nel suo paese significava ancora essere un ragazzo, ma che in un grande albergo di montagna lo proiettava già nel mondo degli adulti.

Il colle lo accolse con un paesaggio da cartolina: neve compatta, cielo terso, piste pronte ad aprirsi per la stagione invernale il 7 dicembre, giorno di Sant’Ambrogio. Al centro del paese, la Torre Bianca e la Torre Rossa davano al luogo un profilo moderno, quasi visionario, futurista. Per Matteo, che arrivava dall’Abruzzo, era come entrare in un altro mondo.

Quell’anno non era stato inviato dal convitto statale con un contratto già predisposto: per la prima volta il posto se l’era procurato da solo, grazie all’accordo stretto mesi prima con un maître che gli aveva dato fiducia. Era un passo importante: significava crescere, assumersi la responsabilità piena del proprio lavoro e del proprio futuro.


I ranghi della sala

Il 7 dicembre, Matteo varcò per la prima volta la soglia del grande albergo bianco. Emozionato, indossava la sua divisa impeccabile: giacca stirata, pantaloni scuri, calzini neri e scarpe lucide.

Qui gli spiegarono la gerarchia della sala, un mondo dove nulla era lasciato al caso:

  • Chef de rang – il responsabile del rango, che serviva direttamente i clienti e gestiva le preparazioni al guéridon, i flambé, i tagli in sala.
  • Commis de rang – il suo braccio destro, che portava i piatti, preparava i vassoi e curava i dettagli del servizio al tavolo.
  • Commis de suite – il collegamento costante tra cucina e sala: portava i piatti pronti, ritirava i vassoi, assicurava che il ritmo non si spezzasse mai.

C’era però una distinzione importante: i commis de suite erano presenti solo nei primi ranghi, cioè quelli centrali e più prestigiosi della sala, dove il servizio doveva essere impeccabile in ogni secondo. Naturalmente tutti i clienti erano importanti e meritavano la stessa attenzione; ma la disposizione degli spazi faceva sì che alcune zone, soprattutto quelle visibili al centro, fossero presidiate con un livello di servizio ancora più serrato.

Matteo venne assegnato proprio lì, come commis de suite in uno dei ranghi centrali. Per un ragazzo di sedici anni significava trovarsi subito al cuore del servizio, nel punto più esigente e delicato dell’intero albergo.


La colazione: vassoi e tavolini pieghevoli

Il suo chef de rang era addetto soprattutto alle colazioni in camera, e così anche Matteo fu destinato a quel reparto. Scoprì subito che il servizio mattutino era un rito preciso, tutt’altro che semplice.

Alle sette del mattino si entrava nell’office ai piani, dove erano già pronte le schede con le prenotazioni raccolte la sera prima. Bisognava distinguere:

  • Colazioni semplici, con vassoi d’argento carichi di caffè, latte caldo, cappuccino, pane fresco, burro e marmellata. Bastava bussare alla porta, consegnare con discrezione, salutare ed uscire.
  • Colazioni complete, per le quali si usavano i tavolini pieghevoli. Questi venivano preparati già in office, con la tovaglia stesa, piatti, posate, bicchieri, zuccheriera e vivande ordinate. Il tavolino si richiudeva soltanto per entrare in ascensore o per passare nei corridoi; una volta in camera, si apriva davanti al cliente e appariva come un vero tavolo già pronto, elegante e ordinato.

Gli ospiti italiani chiedevano quasi sempre la tradizione: latte, caffè, pane e brioche. Diverso il discorso per gli ospiti inglesi. Per loro la colazione significava eggs and bacon, pane tostato, tè forte, a volte persino fagioli in salsa o piccole salsicce. Quando Matteo bussava alle loro stanze con il tavolino richiudibile che si apriva in un attimo davanti ai loro occhi, veniva accolto da un “thank you, boy” che lo faceva arrossire.

Per un ragazzo di sedici anni era una scuola di maturità: servire in camera significava entrare in uno spazio privato del cliente, mantenere discrezione e al tempo stesso offrire un servizio impeccabile.


Il pranzo: il ritmo frenetico della sala

Finite le colazioni, appena il tempo di sistemare i carrelli e lavarsi le mani, e subito iniziava la preparazione per il pranzo.

Qui Matteo rientrava nel suo ruolo di commis de suite puro. La cucina esplodeva di voci e di ordini: piatti che uscivano a ritmo serrato, pentole che tintinnavano, chef che gridavano comande. Matteo correva avanti e indietro, portando i vassoi ai ranghi giusti, memorizzando le sequenze, facendo attenzione a non rallentare.

Ogni piatto consegnato in tempo era una piccola vittoria. Ogni errore – un vassoio al rango sbagliato, una pietanza dimenticata – poteva costargli un rimprovero secco. Ma lui reggeva: gambe veloci, testa lucida, voglia di imparare.


La cena: il teatro del lusso

Il servizio più elegante e impegnativo era la cena. Qui la sala si trasformava davvero in un palcoscenico.

Le luci soffuse, la musica di sottofondo, le signore in pelliccia, gli uomini in abito scuro: tutto respirava un’atmosfera di lusso. Per Matteo era come vivere dentro uno spettacolo, e lui – anche se relegato al ruolo di corridore instancabile – si sentiva parte della scena.

Fu durante una di quelle cene che rischiò di far cadere un vassoio di antipasti. Con un colpo d’istinto lo salvò e lo riportò dritto al tavolo. Lo chef de rang gli lanciò uno sguardo rapido, che valeva più di mille parole: “Bravo, ragazzo, hai capito come si fa”.


Il ponte dell’Immacolata e le feste di dicembre

Il ponte dell’Immacolata fu duro: la sala era sempre piena, i turni massacranti. Ma dopo il lavoro, soprattutto nel pomeriggio e la sera, ci si concedeva qualche ora di libertà. Si usciva, ci si incontrava con il personale degli altri alberghi, e si trascorrevano ore spensierate tra risate, chiacchiere e un bicchiere insieme. Poi tutti a nanna, pronti per ricominciare l’indomani.

Arrivò quindi la vigilia di Natale, con la cena di gala. Una serata organizzata in ogni minimo dettaglio: dallo champagne servito ai tavoli, al pianista che accompagnava la sala con melodie discrete e raffinate. Nulla era lasciato al caso: l’albergo mostrava il meglio di sé, e anche i più giovani, come Matteo, percepivano la solennità del momento.

Il giorno dopo, il pranzo di Natale portò in sala un’atmosfera più familiare, ma non meno impegnativa. E pian piano l’attesa cresceva, fino al cenone di San Silvestro, l’apice della stagione invernale, quando tutto il personale sapeva che si sarebbe giocato il servizio più importante e memorabile dell’anno.


La fine del primo mese

Quando la sera dopo il servizio tornava in camerata, Matteo era esausto. I piedi gonfi, le mani arrossate, la testa piena di immagini e di gesti. Ma sorrideva.

A sedici anni, in poche settimane aveva imparato più che in mesi interi sui banchi di scuola: la disciplina del lavoro, l’importanza dei dettagli, la dignità anche nei compiti più umili. Capì che non esistono ruoli minori, se svolti con passione e precisione.

E si addormentava ogni sera con una certezza: tra il freddo delle montagne e il calore elegante della sala, in quel dicembre del 1971 stava iniziando davvero a diventare grande..

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