Episodio 32 – L’attesa del Capodanno: Matteo tra neve, amicizie e il suo primo San Silvestro da adulto

Dicembre 1971 – Le montagne illuminate e la notte più lunga dell’anno

Passato il Natale, al Sestriere l’aria si caricava di attesa. Nei corridoi degli alberghi, nelle strade innevate, nei bar affollati di ragazzi, si respirava l’idea che il vero banco di prova fosse ancora davanti a loro: la notte di San Silvestro.

Per Matteo i giorni che precedettero il Capodanno furono scanditi da turni sempre più serrati, perché l’albergo si stava riempiendo all’inverosimile. Le prenotazioni erano al completo da settimane: famiglie, coppie eleganti, comitive di amici pronti a vivere la festa più scintillante dell’anno.


La neve e Giuseppina

Il 28 dicembre iniziò a nevicare. Non una nevicata violenta, ma lenta, continua, senza interruzioni. Fiocchi leggeri cadevano in silenzio, coprendo strade, case e pini. In pochi giorni il paesaggio si trasformò: sembrava un mondo sospeso, quasi irreale, come se il Sestriere fosse diventato un quadro vivente.

Fu in quei giorni che Michele presentò a Matteo una sua amica, Giuseppina, che lavorava in un altro albergo. Una ragazza solare, spigliata, con la battuta pronta e un sorriso che scaldava l’aria fredda. Le serate scorrevano serene: uscite al bar, risate in gruppo, passeggiate sotto la neve. Giuseppina sapeva mettere tutti a proprio agio, e la sua presenza rese più leggere le ore fuori dal lavoro.

Eppure, nonostante quella nuova compagnia, Matteo non smetteva di pensare a Eleonora. Qualche settimana prima le aveva scritto una lettera, ma non aveva ancora ricevuto risposta. Ogni giorno sperava che un segno arrivasse, che una parola potesse spezzare l’attesa. Ci contava sempre, con quella fiducia ostinata che appartiene solo ai sedicenni.

Così, tra i sorrisi di Giuseppina e i pensieri per Eleonora, sotto una neve che non accennava a smettere mai, si arrivò al 31 dicembre. La montagna, avvolta da un silenzio irreale, si preparava alla notte più lunga e scintillante dell’anno.


La giornata più lunga

Il 31 dicembre cominciò come sempre, alle sette del mattino. Matteo entrò nell’office ai piani per le prime colazioni e, da lì, iniziò una maratona che non si sarebbe fermata fino alle cinque del mattino seguente.

Tra colazioni servite in camera, vassoi da riportare, tavoli da allestire e ranghi da rifornire, la giornata scivolò in un vortice di corse, ordini e voci. Solo brevi soste: un pasto veloce in cucina, una doccia rapida nel pomeriggio, e subito di nuovo in sala.

La cena di gala di San Silvestro era l’evento dell’anno: il menù era stato studiato da settimane, le decorazioni scelte con cura, i musicisti già pronti ad accompagnare con melodie e brindisi. Ogni dettaglio contava, e nessuno poteva permettersi distrazioni.


Il cenone di San Silvestro

La sala brillava: tovaglie candide, candelabri accesi, centrotavola sobri ma eleganti. I camerieri si muovevano come ingranaggi di un orologio.

Il menù iniziò con tartine al salmone e ostriche, seguite da cappelletti in brodo fumante e da un risotto cremoso al burro e salvia. Come piatti forti arrivarono un maestoso tacchino ripieno di castagne e filetti di trota al forno, accompagnati da patate duchessa dorate e verdure alpine.

I dolci, un tronchetto di Natale glassato al cioccolato e piccola pasticceria assortita, introdussero l’attesa di mezzanotte.

Alle dodici in punto, i camerieri sciamarono tra i tavoli con vassoi carichi di champagne francese, rigorosamente quello, perché negli anni ’70 i nostri spumanti italiani – Trento DOC e Franciacorta – non erano ancora conosciuti. I calici scintillarono sotto le luci, gli abbracci e i baci si moltiplicarono tra tavoli e ranghi, e Matteo, con il suo vassoio in equilibrio, ebbe la sensazione di essere parte di uno spettacolo irripetibile.

Poi, quando la musica e le danze si fecero più lente, verso l’una e mezza arrivò il rito più atteso dagli italiani: cotechino, zampone e lenticchie serviti fumanti, come augurio di prosperità e fortuna per il nuovo anno. Un piatto semplice nella sua sostanza, ma capace di riportare tutti – aristocratici, imprenditori e ragazzi di servizio – a un gesto comune, antico e carico di speranza.


Gli auguri e l’amicizia

Il servizio si protrasse fino all’alba. Alle cinque del mattino, finalmente, Matteo poté togliersi la divisa e tornare in camerata. I piedi gonfi, le mani indolenzite, la testa pesante. Dormì appena un’ora, giusto il tempo di chiudere gli occhi. Poi una doccia veloce e, alle sette, era di nuovo nell’office ai piani, pronto a ricominciare.

Quella notte, tra il gelo della montagna e il calore della sala illuminata, aveva segnato un passaggio decisivo: non era più solo un ragazzo in prova, ma parte di un ingranaggio che reggeva il cuore stesso della festa.

Tra i tanti auguri ricevuti, i più affettuosi furono due: quelli solenni del Papa, trasmessi in televisione, e soprattutto quelli sinceri e calorosi della nonna di Francesco, che lo abbracciò con un affetto vero, quasi familiare. In quel gesto, Matteo sentì che ormai tra lui e Francesco non c’era più soltanto una conoscenza occasionale: erano diventati più che amici, uniti da una vicinanza che avrebbe resistito al tempo.

E così, tra champagne e lenticchie, tra la neve che cadeva incessante e i sorrisi che scaldavano il cuore, si presentò il 1972: un anno nuovo, che prometteva avventure, fatiche e nuove scoperte.

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