Dal caso De Luca–5 Stelle alla politica italiana: i “mai” che si sciolgono davanti alle poltrone. L’incoerenza come male nazionale.

Ci sono vignette che raccontano più di una conferenza stampa, più di un comunicato ufficiale e più di mille post indignati sui social.
Quella che circola in questi giorni ritrae Vincenzo De Luca, governatore della Campania, che stringe la mano a un esponente dei 5 Stelle. Entrambi reggono un cartello: lui con scritto “Mai con i 5 Stelle”, l’altro con scritto “Mai con De Luca”.
Sotto le mani che si stringono, un cesto pieno di poltrone. Sopra la scena, una frase che suona come un’ammissione: “Era solo politica…”.
Una satira diretta, semplice, ma devastante. Perché colpisce al cuore una delle più grandi malattie della politica italiana: l’incoerenza elevata a metodo, la promessa tradita trasformata in normalità.
I “mai” che non valgono niente
In Italia la parola “mai” ha sempre avuto vita breve. In campagna elettorale serve a scaldare le piazze, a convincere gli indecisi, a dare l’idea di una fermezza granitica. Ma una volta conquistati i voti, quel “mai” si piega, si scioglie, si trasforma in un “vediamo”, e infine in un “per senso di responsabilità”.
E così, da anni, assistiamo a governi “mai con Berlusconi” che invece hanno governato con lui, a partiti “mai con Renzi” che oggi ci vanno a braccetto, a alleanze “mai con i populisti” che poi si trasformano in abbracci calorosi quando serve qualche seggio in più.
Il caso campano non fa eccezione. Da un lato Vincenzo De Luca, il “ras” di Salerno diventato governatore, noto per le sue battute taglienti e per l’atteggiamento da monarca assoluto. Dall’altro i 5 Stelle, nati proprio con la promessa di abbattere i De Luca di turno, di spazzare via le clientele, di gridare “mai con questi qua!”.
Eppure eccoli lì, ritratti a stringersi la mano, con la solita giustificazione che basta a lavare ogni incoerenza: “Era solo politica”.
Il Movimento 5 Stelle: dal “mai” al “perché no?”
Se c’è un partito che ha costruito la propria identità sul rifiuto, è proprio il Movimento 5 Stelle.
“Mai con la casta”, “mai con i partiti tradizionali”, “mai con i voltagabbana”, “mai con le clientele”. Era questo il mantra.
Peccato che oggi i 5 Stelle, dopo aver governato con la Lega, poi con il PD, poi con Mario Draghi, e adesso stringendo accordi locali con chiunque garantisca un pezzetto di potere, sembrino aver dimenticato quel “mai” che li aveva resi unici.
In Campania la contraddizione è ancora più evidente: De Luca era il nemico perfetto, il simbolo della politica da abbattere. Ma quando la sopravvivenza politica si gioca sul filo di pochi voti, ecco che anche il nemico diventa alleato.
Il paradosso è che il Movimento, nato per fare la rivoluzione, oggi sembra aver imparato alla perfezione le regole del vecchio sistema. Quelle regole che a parole ha sempre condannato.
De Luca, il maestro dell’ironia amara
Dall’altra parte, però, non c’è un ingenuo. C’è Vincenzo De Luca, politico di razza, abituato a resistere a ogni stagione e a cavalcare ogni tempesta.
Le sue conferenze stampa sono diventate spettacoli teatrali, con battute feroci, insulti mascherati da ironia, e un linguaggio che mescola dialetto, sarcasmo e autoritarismo.
De Luca è sopravvissuto a tutto: alle inchieste, alle rivolte interne al PD, alle bordate dei 5 Stelle. Anzi, è riuscito perfino a trasformare le polemiche in consenso, presentandosi come l’uomo forte capace di governare la Campania senza farsi mettere i piedi in testa.
E adesso, con un sorriso amaro, può stringere la mano proprio a chi lo aveva sempre accusato di essere il simbolo della vecchia politica.
La sua frase di circostanza – “Era solo politica” – suona quasi come un colpo di teatro. Un modo per ricordare a tutti che in Italia le parole si spendono facilmente, ma il potere resta nelle mani di chi sa resistere.
I cittadini come spettatori del teatrino
Il vero problema non è che la politica faccia compromessi. Perché la politica, in fondo, è sempre stata anche arte di mediazione.
Il vero problema è la totale mancanza di pudore. L’assenza di un minimo di rispetto per la memoria dei cittadini.
Un giorno si promette “mai con loro”, il giorno dopo si firma un accordo. E tutto viene liquidato con un’alzata di spalle: “Era solo politica”.
Così cresce la disillusione. Così aumenta l’astensionismo, che ormai in Italia è il vero primo partito. Così i cittadini si convincono che votare non serva più a niente, perché tanto i giochi si fanno dopo, nei corridoi dei palazzi, e non nelle urne.
La satira come specchio
La vignetta, in questo senso, è quasi cronaca illustrata.
Non è solo un disegno divertente: è uno specchio spietato. Mostra il grottesco meglio di qualsiasi editoriale.
E infatti funziona: perché i cittadini, davanti a quel disegno, sorridono amaro e pensano: “Ecco, è proprio così”.
Il cesto di poltrone al centro della scena è un simbolo perfetto.
Tutto ruota lì, attorno al potere, alle sedie da occupare, ai posti da spartire. I grandi ideali e le promesse assolute finiscono sempre per cedere il passo a ciò che davvero conta: la gestione delle poltrone.
Il paradosso dei 5 Stelle
E qui la stoccata finale va proprio al Movimento.
Perché se da De Luca ci si aspetta di tutto, dai 5 Stelle no. O almeno, non ci si sarebbe dovuto aspettare.
Il M5S era nato come “l’eccezione”: quelli puri, quelli che non si sarebbero mai sporcati le mani, quelli che preferivano restare fuori piuttosto che scendere a compromessi.
Invece, dopo pochi anni, eccoli a seguire le stesse regole degli altri. Forse anche peggio, perché con l’aggravante di aver illuso milioni di elettori.
Il loro “mai” urlato in piazza si è rivelato fragile come carta velina. E oggi quella frase “Era solo politica” suona soprattutto come la loro sconfitta culturale e morale.
Conclusione
Alla fine, il caso campano non è che l’ennesimo capitolo di una storia che conosciamo bene.
I “mai” che diventano “sempre”, le strette di mano che cancellano gli insulti di ieri, le poltrone che contano più delle parole: è una commedia che non conosce confini regionali.
La Campania fa da specchio, ma l’immagine riflessa è quella dell’Italia intera.
Perché l’incoerenza non è un vizio locale: è un male nazionale.
Un male che corrode la fiducia dei cittadini, che alimenta il cinismo, che svuota le urne e riempie le stanze dei palazzi di compromessi sempre più incomprensibili.
E allora sì, la vignetta lo dice con semplicità brutale:
“Era solo politica…”.
Il problema è che, da Nord a Sud, da destra a sinistra, quella frase ormai è diventata la scusa di tutti.