Capitolo 2 – I volti del Reich

Veduta degli 
imputati sul banco degli imputati al processo del Tribunale militare internazionale per i criminali di guerra a Norimberga. Novembre 1945.

Quando le porte del tribunale si aprirono e gli imputati presero posto, i giornalisti sulle tribune alzarono subito le macchine fotografiche. Gli scatti che ci sono arrivati mostrano spesso dieci volti in due file, sorvegliati dai soldati americani con casco bianco. Ma il banco degli accusati era più lungo: in totale erano ventuno uomini presenti in aula, più Martin Bormann processato in contumacia.

Quelle immagini, quindi, restituiscono solo un frammento della scena. Ma bastava fermarsi su quei dieci per capire molto: Göring, Hess, Ribbentrop, Keitel, Kaltenbrunner e, nella fila dietro, Rosenberg, Frank, Frick, Dönitz, Raeder. In loro si concentrava l’essenza del regime: il militare, il diplomatico, l’ideologo, il burocrate.

Hermann Göring fu il primo a catturare gli sguardi. Gonfio nel corpo, ma ancora teatrale nei gesti, sembrava recitare un ruolo. Sorrideva con sarcasmo, sfidando i giudici e i giornalisti, come se il processo fosse l’ultima ribalta della sua vita. Ma le mani lo tradivano: tremavano, stringevano il fazzoletto.

Accanto a lui, Rudolf Hess dava l’impressione opposta. Lo sguardo assente, il volto rigido, sembrava perso in un mondo interiore. Alcuni lo credevano simulatore, altri davvero sconnesso dalla realtà. Era la rappresentazione di un vuoto: il delfino di Hitler trasformato in fantasma.

Joachim von Ribbentrop, l’ex ministro degli Esteri, incarnava la freddezza glaciale del burocrate. La sua rigidità era assoluta: non un gesto, non un’emozione. Firmatario di patti che avevano incendiato l’Europa, ora ascoltava immobile, con lo stesso volto inespressivo.

Wilhelm Keitel, feldmaresciallo, abbassava spesso lo sguardo. Ripeteva la sua linea difensiva: “obbedivo agli ordini”. Ma in aula sembrava più un uomo che cercava di autoassolversi che un generale in piedi fino all’ultimo.

Ernst Kaltenbrunner, capo delle SS, era l’opposto: sguardo duro, lineamenti taglienti, fisico imponente. Fissava i testimoni con occhi che intimorivano persino dentro il tribunale. Non mostrava rimorsi, ma una freddezza che metteva i brividi.

Dietro di loro, altri cinque volti.
Alfred Rosenberg, ideologo del nazismo, appariva spento, smarrito, quasi logorato dalle sue stesse teorie.
Hans Frank, con occhiali sottili e taccuino, agitava nervosamente le mani: il governatore della Polonia occupata sembrava un uomo in cerca di giustificazioni impossibili.
Wilhelm Frick, burocrate, aveva l’aria di un impiegato grigio: l’apparenza ordinaria che aveva coperto responsabilità enormi.
Karl Dönitz e Erich Raeder, ammiragli, portavano l’aura della vecchia marina: uniformi scure, capelli bianchi, un’aria più da militari imperiali che da fanatici. Ma la loro presenza ricordava che anche il mare era stato un teatro di sangue.

Questi erano i dieci più fotografati. Ma accanto a loro, fuori dall’inquadratura, c’erano altri uomini che completavano il mosaico.
Albert Speer, distinto, architetto e ministro degli Armamenti, si distingueva per autocontrollo e per una strategia diversa: ammise una “colpa morale”, prendendo le distanze dagli altri.
Julius Streicher, propagandista antisemita, portava in aula l’odio viscerale di una vita: teatrale, volgare, quasi delirante.
Baldur von Schirach, capo della Gioventù hitleriana, appariva dimesso, giovane ma già invecchiato dal peso delle accuse.
Fritz Sauckel, responsabile del lavoro forzato, mostrava rabbia, cercando invano giustificazioni.
Arthur Seyss-Inquart, uomo dell’Anschluss e governatore in Olanda, manteneva un distacco freddo.
Walther Funk, ministro dell’Economia, sembrava già piegato dalla malattia.
Konstantin von Neurath, ex diplomatico, tentava di apparire come “funzionario onesto” più che come criminale.
Franz von Papen, aristocratico, quasi convinto di non meritare di essere lì, ma giudicato lo stesso corresponsabile.
Hjalmar Schacht, banchiere, si presentò come tecnico estraneo al fanatismo: fu assolto, ma la sua figura restò controversa.

E poi due assenze: Robert Ley, suicidatosi in cella poco prima dell’inizio del processo, e Gustav Krupp, industriale, giudicato inabile a comparire.

Infine, Martin Bormann, braccio destro di Hitler, processato in contumacia: la sua sedia restava vuota, simbolo del potere sfuggente e della giustizia che arrivava comunque.


Conclusione del capitolo

In quelle file di banchi e cuffie si rifletteva un intero regime:

  • il fanatismo (Streicher, Rosenberg),
  • la freddezza burocratica (Ribbentrop, Frick),
  • il militarismo (Keitel, Jodl, Dönitz, Raeder),
  • l’apparente dignità tecnica (Speer, Schacht),
  • e la brutalità nuda (Kaltenbrunner, Göring).

Non erano più generali o ministri, ma semplici imputati. Uomini seduti uno accanto all’altro, che portavano in aula non solo i loro destini individuali, ma i crimini di un intero sistema.

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