Episodio 35 – Primavera 1972: Il ritorno a casa

Dopo il Sestriere, Matteo ritrova la famiglia e il paese. Le amicizie che tornano, i pensieri per Eleonora e la nuova partenza verso l’Isola d’Elba.

Il ritorno a casa fu, come sempre, emozionante. Ritrovare i volti, le strade, le stanze dove tutto era iniziato aveva un sapore unico. Lo capisce davvero solo chi vive queste partenze e questi ritorni: lasciare per mesi un paese che conosci pietra per pietra, e poi rientrare con un bagaglio diverso, più pesante non solo di vestiti ma di esperienze, di incontri, di fatiche.

Matteo rientrò in Abruzzo con la stessa sensazione che provava ogni volta: da un lato la gioia di riabbracciare i suoi cari, dall’altro la consapevolezza che la sua vita ormai non stava più solo lì. La montagna piemontese, con i suoi ritmi e le sue amicizie, lo aveva già trasformato, segnando un passaggio che nessun ritorno poteva cancellare.

La piazza del paese lo accolse con il profumo familiare della terra umida di primavera. I primi alberi in fiore rompevano il grigio dell’inverno, e le montagne che circondavano la valle sembravano osservarlo in silenzio, come vecchie custodi del suo destino.

Camminando tra le voci dei conoscenti e i saluti di chi lo riconosceva, Matteo sentì che ogni ritorno portava con sé un’emozione particolare: il luogo restava lo stesso, ma dentro di lui qualcosa era cambiato.


L’abbraccio della famiglia

Sua madre lo attendeva sulla soglia di casa con il sorriso di sempre. Bastò quell’abbraccio, stretto e lungo, per fargli sentire che, nonostante tutto, quello era il suo centro. Accanto a lei c’era il fratello più piccolo, che lo guardava con un misto di ammirazione e curiosità: per lui, il ritorno del fratello maggiore era sempre un avvenimento, quasi come se rientrasse da un viaggio lontanissimo.

Anche lo zio e la zia erano presenti: figure solide, che con discrezione avevano sempre fatto da punto di riferimento. Lo zio lo salutò con una pacca vigorosa sulla spalla, mentre la zia con parole affettuose e uno sguardo che univa premura e orgoglio. In quel momento Matteo sentì la forza di una famiglia che, pur con le sue fatiche, non lo lasciava mai solo.

La sera del ritorno si trasformò in una piccola festa domestica. Sul tavolo, semplice ma carico di cura, c’erano pane caldo, formaggi, salumi e un piatto di pasta al sugo preparato con tutta l’attenzione possibile. Sapori che riportavano Matteo a un’infanzia che pareva lontana, e che pure restava dentro di lui come radice profonda.

Durante la cena, tutti ascoltarono i racconti della stagione appena conclusa. Matteo parlava del lavoro in sala, degli ospiti, delle fatiche dei giorni di festa, delle serate al bar con gli amici. Parlava con entusiasmo, ma a tratti anche con un velo di nostalgia.

— Sei cresciuto, — disse la madre, osservandolo mentre gesticolava. — Si vede negli occhi.

Lo zio annuì in silenzio, continuando a versargli da bere. Non era uomo di molte parole, ma il modo in cui lo guardava parlava per lui.


Il paese e il tempo

Nei giorni successivi Matteo riscoprì il ritmo lento del paese. La piazza era di nuovo il cuore di tutto: lì incontrava amici di infanzia, lì scambiava battute con i vicini, lì osservava le giornate che si allungavano con la primavera.

Mentre tutto sembrava uguale a prima, dentro di lui sentiva di essere cambiato. Il confronto tra la vita intensa del Sestriere e la quiete del paese era netto. Da una parte il lavoro frenetico, le gerarchie, i maitre, le proposte di nuovi orizzonti; dall’altra la calma delle abitudini, il calore familiare, la sensazione di radici che non lo avrebbero mai lasciato.

Passeggiando tra le vie, si rese conto che i luoghi d’infanzia avevano perso un po’ della loro magia: non perché fossero meno belli, ma perché ora li guardava con occhi diversi. Era come se il paese, fermo nella sua lentezza, gli restituisse uno specchio in cui vedere meglio quanto lui fosse cresciuto.


Amicizie che cambiano

Con alcuni amici d’infanzia il dialogo era rimasto lo stesso: poche parole, qualche risata, ricordi condivisi. Ma con altri Matteo sentì una distanza. Loro erano rimasti lì, tra i campi e i piccoli lavori stagionali, mentre lui aveva conosciuto alberghi di lusso, clienti esigenti, città lontane.

Non si trattava di sentirsi migliore, ma diverso. Aveva visto un mondo che agli altri era estraneo, e questo lo rendeva a tratti più solo. Si accorgeva che non sempre era facile spiegare ciò che aveva vissuto: bastava una frase per sembrare presuntuoso, e allora preferiva tacere.

Le serate più divertenti restavano quelle trascorse con gli amici del paese che, come lui, tornavano dopo la stagione invernale. Bastava ritrovarsi al bar o in piazza per sentirsi parte di una piccola comunità parallela, fatta di racconti, aneddoti e sogni condivisi. Fu un periodo in cui anche altri coetanei avevano scelto quella strada: partire per lavorare lontano, affrontare la fatica per guadagnare e crescere. Non erano molti, ma abbastanza da far capire a Matteo che non era solo in quella scelta.

Solo chi, come loro, aveva provato a partire e a tornare, poteva capire davvero quella sensazione di sospensione, come se la vita fosse divisa tra due binari paralleli.


Il pensiero di Eleonora

In mezzo a tutto questo, un pensiero non smetteva di riaffiorare: Eleonora. Dalla fine dell’inverno non aveva avuto più sue notizie. Non un biglietto, non una telefonata. Era come se quella parentesi tenera, nata quasi in silenzio tra i corridoi del convitto, si fosse dissolta nell’aria fredda del Sestriere.

Bastava un attimo di silenzio per rivederne lo sguardo, per sentire il timbro della sua voce. Matteo non sapeva se provare malinconia o speranza. Forse era solo destino che certe presenze restassero sospese, pronte a riaffacciarsi quando meno te lo aspetti.


Verso una nuova partenza

Ai primi di maggio Matteo ripartì, questa volta alla volta dell’Isola d’Elba. Come era stato per il Sestriere, partì da solo, senza l’accompagnamento dell’educatore del convitto: un segno in più della fiducia conquistata e della crescita che stava vivendo.

Sapeva che lo attendevano nuove prove, nuove persone, un altro luogo da scoprire e da abitare con il suo impegno. Ma nonostante l’emozione del viaggio, dentro di sé portava anche la serenità delle radici appena ritrovate.

Il 29 maggio avrebbe compiuto diciassette anni. Un compleanno speciale, perché segnava la soglia di un’età di passaggio: non più solo un ragazzo, non ancora un adulto, ma qualcuno che, passo dopo passo, stava imparando a reggersi sulle proprie gambe.


Conclusione

La primavera del 1972 segnò per lui un passaggio silenzioso ma decisivo. Non era più soltanto il ragazzo che partiva per fare esperienza: era un giovane che cominciava a scegliere, a pesare le opportunità, a immaginare un futuro diverso.

Il ritorno a casa gli aveva dato emozione e conforto, ma anche la consapevolezza che la sua strada non si sarebbe fermata lì. Ogni volta che abbracciava la madre, ogni volta che rivedeva il fratello, lo zio e la zia, sentiva la forza delle radici. E ogni volta che pensava all’Hermitage, all’Elba, ad Achille, alle amicizie che si dividevano, sentiva il richiamo del futuro.

Tra questi due poli — la casa e il lavoro, l’Abruzzo e il resto d’Italia — Matteo capiva che la sua vita sarebbe stata sempre un continuo equilibrio. Un equilibrio difficile, ma ricco di senso.