I trabocchi soffrono per le cattive lingue… ma rischiano un cattivo destino

I trabocchi, simbolo della Costa dei Trabocchi in Abruzzo, non lottano più solo contro mare e salsedine, ma contro le “cattive lingue” di turisti e mode gastronomiche. Tra satira e riflessione, un viaggio che racconta il rischio di un cattivo destino per queste antiche macchine di pesca trasformate in ristoranti.

(Pensieri Scomposti)

Ci sono parole che pesano come reti vuote, e battute che tagliano come lame. I trabocchi, antiche macchine di pesca sospese sull’Adriatico, oggi sopravvivono non solo alla salsedine e al vento, ma anche alle cattive lingue. Quelle dei turisti che li riducono a “ristoranti sull’acqua”, quelle dei clienti che chiedono sushi invece del brodetto, quelle di chi li scambia per attrazioni da cartolina senza sapere che lì, un tempo, si combatteva per il pane.

Le cattive lingue dei clienti

C’è chi arriva e domanda: “Scusate, avete la carbonara di mare?”
Chi si lamenta: “Il pesce ha le spine, non si può mangiare così.”
Chi sorride con aria di superiorità e conclude: “Bella vista, peccato non serviate sushi.”

Non è solo ignoranza gastronomica, è la spia di un mondo che non vede più la storia, ma solo l’intrattenimento. Un trabocco non è nato per Instagram, eppure ogni estate diventa scenario di fotografie patinate, calici sollevati al tramonto e menù “rivisitati” a 80 euro a persona.

Le cattive lingue della politica

Non ci sono solo i turisti. Ci sono anche i proclami istituzionali: assessori e sindaci che parlano di “rilancio della Costa dei Trabocchi” salvo poi dimenticare che queste strutture richiedono manutenzione costante, legno dopo legno, vite dopo vite, spesso a spese dei gestori.
Si stanziano fondi per ciclabili e promozione turistica, ma quando il mare d’inverno spezza passerelle e trascina via piattaforme, le cattive lingue si riducono a un: “Eh, è la natura.”

Il cattivo destino

E così i trabocchi rischiano un destino ambiguo:

  • diventare location di lusso, svuotati della loro anima popolare;
  • o crollare lentamente, dimenticati come relitti, quando il turismo avrà trovato un nuovo giocattolo da consumare.

Un cattivo destino, appunto. Perché i trabocchi non sono mai stati pensati per fare scena, ma per resistere alla miseria. Non erano “esperienze gourmet”, erano invenzioni disperate, figlie di chi non poteva permettersi una barca e non voleva morire di fame.

La memoria come antidoto

Forse l’unico modo per salvarli davvero è raccontare la loro storia. Non solo venderli come ristoranti sospesi, ma ricordare che ogni tavola di legno porta dentro un secolo di vento, di sale e di fatiche.
Un cliente che siede su un trabocco dovrebbe saperlo: quella passerella non è stata costruita per portare gamberi rossi al tavolo, ma per calare reti di sopravvivenza.

Satira finale

Immaginate tra cent’anni: al posto dei trabocchi, una replica in plastica, con maxi-schermo che proietta il tramonto e un menù internazionale con sushi, tacos e hamburger. Il mare sarà finto, ma la prenotazione sempre disponibile online.
E magari qualcuno dirà ancora: “Bella vista, peccato non serviate anche la pizza napoletana.”


👉 Perché sì, i trabocchi soffrono per le cattive lingue.
E se non stiamo attenti, rischiano davvero un cattivo destino.

✒️ Il Sognatore Lento