Flottiglie e salotti: la geopolitica da coperta di lana

Ci sono immagini che ti arrivano addosso come onde: decine di barche in mare, tutte schierate in formazione, bandiere al vento, slogan di solidarietà. La chiamano “Global Flotilla”. In pratica, un enorme corteo acquatico che urla al mondo: “Guardateci, stiamo salvando la Palestina!”

Peccato che, mentre le barche sfilano ordinate come in un carnevale nautico, la realtà resti ferma al porto: Gaza continua a bruciare, i governi europei cincischiano e i talk show riempiono salotti di esperti che spiegano tutto senza sapere niente.

Ma almeno c’è la foto.
E che foto! Cento barche, cento bandiere, un drone che immortala il momento. Roba che manco la regia del Festival di Sanremo. Solo che qui non si canta, si fa geopolitica da copertina.

Dietro a queste flottiglie ci sono ONG, associazioni, movimenti politici e qualche Stato che spinge sotto banco. Tutti con la stessa idea: non cambiare il mondo, ma cambiare la percezione. Perché l’importante non è arrivare a Gaza, ma arrivare sui giornali.

E l’Europa? Resta ferma, con la solita frase: “Prima sistemiamo altro”. Quella formula magica che serve a non fare mai nulla. Intanto, però, i radical chic applaudono dal salotto: “Che gesto meraviglioso, che simbolo fortissimo!”.
Simbolo sì, ma di cosa? Della solidarietà che resta a galla come una barca senza motore.

La verità è che queste flottiglie hanno già vinto, ma non dove pensano. Non in mare, non a Gaza, non a Bruxelles. Hanno vinto su Instagram, su Facebook, su X. Hanno vinto perché la foto è potente, e la foto vale più del carburante.

Nel frattempo, chi paga? Sempre gli stessi: i cittadini che vorrebbero soluzioni concrete, non regate ideologiche.

Insomma: le barche vanno, le bandiere sventolano, i salotti applaudono. E la politica? Quella resta a riva, a discutere se sia più importante salvare vite o accumulare like.


✒️ Il Sognatore Lento