Ogni volta che si torna a parlare del Ponte sullo Stretto, non mancano le voci contrarie pronte a bollarlo come una “minchiata pazzesca”, un monumento all’ego di qualche politico in cerca di gloria personale.
Una frase d’effetto, capace di strappare applausi facili nei talk show e rimbalzare sui social con la velocità di un hashtag. Ma tra gli slogan da studio televisivo e la realtà quotidiana della Sicilia, c’è un abisso che conviene colmare.

I disagi reali della Sicilia
Chi liquida il ponte come un capriccio dimentica un dettaglio fondamentale: i siciliani devono ancora convivere con collegamenti da Terzo Mondo.
- Per andare da Trapani a Messina servono fino a otto ore di treno.
- La mobilità interna si regge quasi esclusivamente sui pullman.
- Le strade provinciali sono spesso impraticabili.
Prima di ridere delle “grandi opere”, bisognerebbe provare a vivere, giorno dopo giorno, i limiti di un’isola che fatica a collegarsi persino con sé stessa.
L’alibi del “prima risolviamo altro”
C’è un mantra che torna puntuale: prima sistemiamo i problemi interni, poi penseremo al ponte.
È una scusa che conosciamo bene. Con la stessa logica, non avremmo mai costruito autostrade, aeroporti o porti. Se avessimo sempre rimandato, oggi non avremmo nulla.
Il punto è che le infrastrutture non sono un lusso, ma la condizione necessaria per affrontare i problemi più profondi: economia, occupazione, mobilità, attrattività turistica.
Dire “no” al ponte in nome di priorità irrisolte significa condannarsi a restare fermi per altri decenni.
Opportunità, non monumento
Il ponte non è un monumento all’ego.
È un’occasione di sviluppo, di lavoro, di dignità per un territorio che da troppo tempo viene trattato come periferia marginale d’Europa.
È la possibilità di trasformare la Sicilia da isola isolata a crocevia naturale del Mediterraneo, con ricadute positive sull’intero Paese.
Non cancellerà d’un colpo i problemi interni, ma potrà diventare la spinta per affrontarli con più forza e concretezza. Perché senza infrastrutture non c’è futuro, e senza visione restano solo slogan.
Le vere “minchiate pazzesche”
Le vere “minchiate pazzesche” non sono i ponti, ma i salotti che campano di parole.
Chi davvero ha a cuore il Sud sa che non bastano battute riuscite o indignazioni a effetto: servono opere, coraggio e scelte che incidano sul domani.
Conclusione
Il ponte sullo Stretto non è un capriccio. È un passo avanti.
Possiamo scegliere se restare fermi a discutere nei talk show, o se guardare in faccia la realtà e decidere di costruire.
E allora la domanda è semplice: vogliamo continuare a vivere di slogan, o siamo pronti a mettere basi solide per il futuro del Sud e dell’Italia?