
In Italia il prezzemolo non manca mai. In cucina lo si trova dappertutto: dalla pasta al pesce, dalle patate alla minestra. In politica, idem. Dopo aver incoronato Pierluigi Bersani come “prezzemolo n. 1”, oggi ci tocca assegnare la medaglia d’argento. E il vincitore è… Fausto Bertinotti.
Bersani è il prezzemolo popolare: battute di osteria, saggezza da bar, sorrisi amari da ex segretario. Bertinotti, invece, è il prezzemolo radical chic: elegante, voce vellutata, citazioni che oscillano tra Marx e Pasolini, e una presenza che riesce a comparire ovunque ci sia un microfono acceso.
Un tempo fu il leader della Rifondazione Comunista, oggi è il filosofo da talk show, capace di spiegare in un quarto d’ora perché il capitalismo crollerà… mentre nel frattempo ordina un caffè macchiato. Con il tono di chi non ti sta parlando, ma ti sta impartendo una lezione di stile.
E così, tra una libreria alle spalle e una camicia di lino immacolata, Bertinotti si materializza nei nostri schermi ogni volta che la politica italiana ha bisogno di un tocco di “profondità”. Perché il dibattito non è completo senza una sua riflessione lenta, meditata, quasi liturgica.
Il problema è che, come col prezzemolo in cucina, alla lunga copre i sapori. E mentre Bersani fa sorridere con le sue metafore agricole, Bertinotti rischia di rendere il piatto immangiabile con la sua aria da eterno maître à penser.
Alla fine, il paradosso è servito: due uomini diversissimi che finiscono per condividere la stessa sorte. Sempre presenti, sempre in vista, sempre pronti a ricordarci che la politica italiana non sa fare a meno del prezzemolo.
Ma se in cucina un pizzico può bastare, in politica rischiamo l’indigestione.