Capitolo XII – L’espulsione dal PSI e la nascita del Popolo d’Italia (1915)

Il 1914 si chiudeva con una lacerazione irreparabile. Benito Mussolini, fino a pochi mesi prima direttore dell’Avanti! e bandiera del socialismo rivoluzionario, era ora considerato un traditore. Le sue pagine interventiste, che invocavano l’ingresso dell’Italia nella guerra europea, avevano spezzato il legame con il Partito Socialista Italiano.


L’espulsione

La riunione della direzione socialista fu tesa, quasi drammatica. Gli interventisti erano ormai minoranza, la linea ufficiale restava quella del neutralismo. Le accuse contro Mussolini piovevano una dopo l’altra: “avventurista”, “nazionalista mascherato”, “venduto alla borghesia”.

Lui non abbassò lo sguardo. Rispose con la voce ferma che usava nei comizi:
“Non ho tradito. Voi vi ostinate a restare fermi, mentre la storia corre. Io vedo nella guerra non un capriccio monarchico, ma la possibilità di una rivoluzione più grande di quella che sognate.”

Non servì. La decisione era già scritta: espulsione.

Per Rosa, la madre, fu una ferita: ancora una volta il figlio sembrava smarrirsi lontano da lei. Alessandro, invece, rise amaro: “Almeno non perde tempo con i codardi. Ora è libero.”


L’uomo solo

Espulso dal partito che aveva guidato le sue prime battaglie, Mussolini si ritrovò isolato. Per qualche settimana sembrò destinato al silenzio. Gli amici di un tempo lo evitavano, molti compagni lo insultavano pubblicamente, i vecchi colleghi dell’Avanti! scrivevano articoli feroci contro di lui.

Ma Benito non era tipo da piegarsi. Camminava per Milano a testa alta, convinto che quell’isolamento fosse solo temporaneo. Diceva agli amici rimasti: “La storia non si fa con i timidi. Oggi mi maledicono, domani mi seguiranno.”


Un nuovo giornale

L’idea nacque presto: se l’Avanti! gli era stato tolto, avrebbe creato un suo giornale. Non più voce di un partito, ma tribuna personale. Un foglio che parlasse al “popolo”, non solo agli iscritti al PSI.

Il 15 novembre 1914 uscì il primo numero del Popolo d’Italia. In prima pagina, un editoriale firmato Benito Mussolini. Era un manifesto di rottura:

“Il nostro giornale sarà socialista, ma libero. Non ci inginocchieremo davanti alle formule e alle liturgie dei partiti. Saremo la voce di chi crede che la guerra possa essere la rivoluzione che ci manca.”

Il titolo stesso era un segno: non più Avanti! (imperativo di marcia collettiva), ma Popolo d’Italia. Non più un giornale di partito, ma il giornale di Mussolini.


I sospetti sui finanziamenti

Ben presto si scoprì che dietro al nuovo giornale c’erano finanziamenti non solo di socialisti dissidenti, ma anche di ambienti industriali e borghesi favorevoli alla guerra. L’accusa di tradimento si fece più feroce: “Mussolini è pagato dagli industriali per trascinare gli operai in guerra”.

Lui rispose con durezza:
“I soldi non comprano le idee. La mia penna non è in vendita. E se gli industriali pensano di usarmi, si accorgeranno che sono io a usar loro.”


Le campagne interventiste

Il Popolo d’Italia divenne in poche settimane un giornale combattivo, aggressivo, diverso da tutti gli altri. Ogni numero era un attacco frontale al neutralismo, un invito all’azione.

Mussolini scriveva:
“La neutralità è codardia. L’Italia deve entrare in guerra al fianco delle democrazie occidentali, per abbattere gli imperi che soffocano i popoli.”

E ancora:
“Ho creduto e credo che questa guerra sia la più grande rivoluzione. Essa spazzerà via i vecchi troni e costringerà i popoli a riforgiarsi nella sofferenza.”

Il tono era profetico, quasi religioso. Non più “guerra alla guerra”, ma “guerra come rivoluzione”.


Le reazioni

Il Partito Socialista replicava con rabbia. Ogni numero del Popolo d’Italia era bollato come tradimento. A Milano comparvero scritte sui muri: “Abbasso Mussolini, servo dei padroni!”

Ma tra gli operai e i giovani studenti la sua voce trovava ascolto. Non erano pochi quelli che, pur venendo dal socialismo, cominciavano a vedere nella guerra un’occasione per cambiare davvero l’Italia.

Un lettore scrisse: “All’Avanti! ci parlano di prudenza. Al Popolo d’Italia leggiamo parole che ci fanno battere il cuore.”


L’Italia in armi

La pressione cresceva. Tra dicembre 1914 e maggio 1915 il paese si spaccò in due: neutralisti contro interventisti. Mussolini era ormai uno dei leader più visibili di quest’ultima corrente. Nei suoi comizi urlava:
“Se non avremo la guerra, avremo la vergogna. Se non entreremo ora, resteremo schiavi del passato.”

Il governo Giolitti tentennava, Salandra trattava segretamente con gli Alleati. In maggio, con il Patto di Londra, l’Italia si impegnò ad entrare in guerra contro l’Austria-Ungheria.


L’uomo nuovo

Mussolini salutò la decisione con entusiasmo. Nel Popolo d’Italia scrisse:
“Il dado è tratto. L’Italia entra nella guerra e con essa nella storia. Non saremo più una nazione di mendicanti, ma di combattenti.”

Non era più il socialista di Romagna, né il direttore dell’Avanti!: era il fondatore di un giornale nazionale, il portavoce dell’interventismo, il volto nuovo di una politica che stava oltre il vecchio PSI.


Conclusione

Con l’espulsione dal PSI e la nascita del Popolo d’Italia, Mussolini varcò un confine senza ritorno. In pochi mesi era passato dall’essere il portavoce della classe operaia a farsi interprete di un’idea nuova, più ampia e ambiziosa: parlare al “popolo” intero, oltre i partiti, oltre le vecchie formule.

Il giornale divenne il suo strumento, la tribuna dalla quale costruire una nuova legittimità. Da traditore del socialismo a profeta dell’interventismo, Mussolini seppe trasformare l’isolamento in opportunità, la condanna in rilancio.

Il 1915 segnò la sua metamorfosi: non più uomo di partito, ma uomo della nazione. La guerra che stava per incendiare l’Europa gli offriva un palcoscenico inedito, e lui vi salì con la determinazione di chi sente che il proprio tempo è arrivato.

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