Satira civile sulla flottiglia per Gaza e sugli interessi nascosti dietro la facciata pacifista.

C’era un tempo in cui i proverbi erano bussola di vita quotidiana. “Non tutto ciò che luccica è oro” serviva a ricordare che l’apparenza non basta: dietro il bagliore di un metallo potrebbe nascondersi semplice latta. Oggi, questo vecchio adagio torna utile osservando la flottiglia che solca il Mediterraneo verso Gaza.
Sulla carta è un viaggio di pace. Le immagini raccontano vele gonfiate dal vento, bandiere arcobaleno, mani che salutano dal porto. Il messaggio è chiaro: portare aiuti umanitari, rompere l’assedio, mostrare solidarietà al popolo palestinese. Ma chi ha occhio più allenato sa bene che dietro a ogni facciata ci sono sempre interessi che il “popolino” raramente conosce.
La scena in superficie
A guardare i telegiornali, sembrerebbe una crociera della fratellanza: volontari generosi, studenti idealisti, attivisti pieni di buone intenzioni. Ogni gesto è studiato: le telecamere puntate sulle navi, gli applausi al momento della partenza, i discorsi infuocati conditi da parole come “pace”, “giustizia”, “umanità”.
E non si può negare che, almeno in parte, sia vero. Sulla flottiglia c’è chi crede davvero in ciò che fa, chi rischia il proprio tempo, il proprio denaro e perfino la libertà per una causa che ritiene giusta. Ma sarebbe ingenuo fermarsi a questa superficie.
Perché se è vero che i volontari esistono, è altrettanto vero che dietro le loro spalle c’è un retroscena fatto di calcoli politici, strategie comunicative e obiettivi che poco hanno a che fare con la purezza della solidarietà.
La memoria corta delle flottiglie
Non è la prima volta che barche partono con la promessa di portare aiuti. Già in passato le cosiddette “flottiglie della pace” sono salpate con grande clamore mediatico. E come sono finite? Con sequestri, arresti, scontri diplomatici, qualche titolo di giornale e poi… silenzio.
Gli aiuti, quando ci sono davvero, finiscono spesso per essere marginali rispetto al rumore che li accompagna. Restano invece le foto, i video, le conferenze stampa al ritorno. E qualcuno, in questo gioco, accumula capitale politico da spendere altrove.
Non tutto ciò che luccica è oro, appunto: a volte è solo propaganda ben confezionata.
Gli interessi nascosti
Dietro le bandiere della pace, si muovono diversi interessi:
- Interessi politici: per certi partiti o movimenti, la flottiglia è un’occasione per guadagnare visibilità e ribadire la propria linea ideologica. Ogni arresto diventa la prova della propria coerenza.
- Interessi personali: c’è chi cerca un palcoscenico. Un’intervista, una foto in prima pagina, un post virale: ecco la moneta di scambio.
- Interessi economici: organizzare queste iniziative richiede fondi, e i fondi arrivano da associazioni, ONG, donatori. Qualcuno su questi flussi costruisce carriere, stipendi e posizioni.
- Interessi internazionali: alcuni governi osservano con compiacimento, altri chiudono un occhio, altri ancora sfruttano l’occasione per regolare conti diplomatici.
Il popolino, intanto, guarda l’immagine poetica della barca con la scritta “pace” e si commuove. È la forza della narrazione: se ti mostro un veliero con la bandiera bianca, tu vedi pace. Se ti mostrassi i documenti di finanziamento, vedresti tutt’altro.
L’Europa ferma al porto
E l’Europa? Osserva, discute, tentenna. Le istituzioni comunitarie hanno tempi lunghi, riunioni infinite, dichiarazioni ponderate. Così, mentre la flottiglia prende il largo, Bruxelles resta ferma al porto.
Questa lentezza, paradossalmente, fa il gioco di chi parte. Perché il vuoto lasciato dall’Europa viene riempito da chi sa usare la comunicazione: “Noi agiamo, loro parlano”. È un copione già visto. E intanto, se la nave viene bloccata o i passeggeri arrestati, la colpa cade sempre sugli altri: Israele cattivo, Europa assente. Un martirio annunciato che diventa carburante politico.
L’uomo avvisato…
Ma attenzione: qui vale anche un altro proverbio, quello dell’“uomo avvisato mezzo salvato”. Chi parte lo fa sapendo benissimo a cosa va incontro. Non è un fulmine a ciel sereno se le navi vengono fermate, se i passeggeri finiscono in cella, se gli aiuti non arrivano mai a destinazione.
E allora il vittimismo suona stonato. Non è l’ingenuità di chi non sapeva, è la strategia di chi sapeva benissimo e aveva già previsto di capitalizzare l’arresto.
Il popolino e la facciata dorata
Il vero nodo sta qui: alla gente comune viene consegnata solo la facciata dorata. Il pacifismo come immagine, la generosità come spettacolo, la protesta come racconto eroico. Quello che resta nascosto sono gli interessi sottocoperta: la propaganda, le carriere, i fondi, i calcoli geopolitici.
Il popolino applaude, convinto di assistere a un atto di puro altruismo. Ma quando il sipario cala, chi guadagna davvero non è quasi mai il destinatario degli aiuti, bensì chi li ha usati come bandiera.
Conclusione
“Non tutto ciò che luccica è oro”.
Dietro la patina pacifista delle flottiglie, spesso si nascondono vecchi trucchi di propaganda. Chi parte lo fa sapendo di rischiare: l’arresto diventa parte dello spettacolo, la solidarietà si trasforma in palcoscenico, la causa diventa pretesto.
La vera pace non ha bisogno di telecamere, né di barche cariche di slogan. Ha bisogno di lavoro silenzioso, di diplomazia seria, di gesti concreti. Ma il silenzio non fa notizia, e allora meglio una nave che luccica.
Peccato che, come ci ricordano i saggi di un tempo, non tutto ciò che luccica sia oro.