
Dopo Bersani (il prezzemolo popolare) e Bertinotti (il prezzemolo radical chic), la classifica dei più presenti della politica italiana non poteva non includere lui: Alessandro Di Battista.
Non è più in Parlamento da anni, ma compare più spesso di chi ancora ci siede. Lo trovi in tv, lo trovi su YouTube, lo trovi in libreria, lo trovi persino in qualche reportage improvvisato da Paesi lontani. Di Battista è il prezzemolo viaggiatore, quello che non si accontenta di spuntare nei talk show, ma vuole anche condire le piazze virtuali e reali con il suo sapore forte.
Un tempo lo chiamavano “Dibba”, il ribelle a cinque stelle, l’uomo delle metafore incendiarie e dei monologhi infuocati. Oggi sembra più un influencer politico: dirette social, video con sfondi esotici, e una continua, ostinata presenza nelle discussioni pubbliche.
Il suo talento? Essere sempre al posto giusto nel momento sbagliato. Quando il Movimento 5 Stelle era al governo, lui era in giro per il mondo. Quando il Movimento è crollato, lui era in prima fila a ricordare a tutti che “l’aveva detto”. Insomma: prezzemolo sì, ma fuori tempo massimo.
La politica italiana, evidentemente, non può fare a meno di questa spezia. Ma se Bersani sa di trattoria, Bertinotti di salotto letterario, Di Battista sa di… Instagram stories.
E allora la domanda sorge spontanea: in politica, ci serve davvero tutto questo prezzemolo, o basterebbe un pizzico di sale in più?