C’era una volta la Val di Sangro, polo industriale del Centro-Sud

C’era una volta la Val di Sangro. Non un titolo di fiaba, ma un capitolo vero della storia industriale italiana. Una valle che da agricola e silenziosa si trasformò, nel giro di pochi decenni, nel più importante polo manifatturiero del Centro-Sud.

Per capire questa parabola bisogna tornare agli anni Settanta, quando lo Stato, tramite la Cassa per il Mezzogiorno, decise di intervenire in aree considerate strategiche per lo sviluppo del Sud. L’Abruzzo, regione di confine tra Centro e Meridione, venne individuato come territorio adatto a un grande investimento: aveva spazi liberi, collegamenti stradali in crescita, porti vicini come Ortona e Vasto, e soprattutto una forza lavoro giovane, pronta a lasciare i campi per la fabbrica.

L’inizio: la nascita della Sevel

La svolta arrivò nel 1981, con la nascita della Sevel (Società Europea Veicoli Leggeri), frutto di una joint venture tra Fiat e Peugeot. L’impianto di Atessa, in Val di Sangro, divenne in pochi anni un colosso: qui si iniziò a produrre il Ducato, furgone che sarebbe diventato il simbolo della mobilità commerciale in Europa.

Intorno a quello stabilimento crebbe un mondo nuovo. La valle si popolò di capannoni, officine, ditte di logistica e di componentistica. Interi paesi si trasformarono: Atessa, Paglieta, Casoli, perfino Lanciano conobbero un’espansione mai vista. Famiglie che un tempo pensavano all’emigrazione cominciarono a comprare case, aprire negozi, investire nel futuro dei figli.

Non era solo lavoro: era un riscatto. Per la prima volta, il Sud poteva vantare un polo industriale paragonabile a quelli del Nord. La Val di Sangro divenne un simbolo, citata nei giornali come “la Detroit d’Abruzzo”.

Gli anni d’oro

Tra gli anni Ottanta e Novanta, la Sevel e il suo indotto arrivarono a impiegare decine di migliaia di persone. Lo stabilimento divenne il più grande in Europa nel settore dei veicoli commerciali leggeri.

Era il tempo dei turni massacranti, ma anche della sicurezza economica. Lavorare in fabbrica significava poter mettere da parte risparmi, garantire studi ai figli, costruire un ceto medio operaio che fino a pochi anni prima era impensabile in una terra di agricoltura e piccola pastorizia.

Le strade della valle si riempirono di camion e pullman di operai. Le scuole dei paesi vicini si gonfiarono di iscrizioni. Il lavoro era attrattivo persino per chi veniva dal Molise, dal Chietino interno, dall’Alto Vastese: la Val di Sangro era diventata calamita di persone e speranze.

Le prime ombre

Ma già nei primi anni Duemila il quadro cominciò a cambiare. La globalizzazione e le nuove logiche industriali spinsero alla delocalizzazione di alcune produzioni. L’auto stessa entrò in crisi, con mercati saturi e una concorrenza sempre più aggressiva.

La Sevel resistette, ma il clima era diverso. Le assunzioni a tempo indeterminato lasciarono spazio a contratti a termine e interinali. L’indotto, un tempo ricco di prospettive, iniziò a soffrire: le piccole e medie imprese fornitrici vivevano in perenne equilibrio tra commesse e rischi di chiusura.

La valle, che era stata un modello di stabilità, conobbe la precarietà.

Il presente: tra resistenza e incertezza

Oggi, nel 2025, la Val di Sangro resta ancora un gigante. La Sevel è lo stabilimento Stellantis più grande d’Europa per i veicoli commerciali, con produzioni che raggiungono mercati globali. Ma la sua forza è accompagnata da fragilità.

La transizione ecologica e la spinta verso l’elettrico pongono interrogativi enormi: come cambieranno le produzioni? Quanti posti di lavoro resteranno? L’automotive vive una trasformazione radicale, e territori come questo rischiano di pagarne il prezzo più alto.

Intanto, i paesi della valle tornano a fare i conti con un fenomeno che sembrava superato: lo spopolamento. I giovani guardano altrove, attratti da città universitarie, lavori digitali, esperienze all’estero. La fabbrica non è più calamita come un tempo: è solo una possibilità, spesso a termine.

Una parabola italiana

La storia della Val di Sangro somiglia a una parabola del Mezzogiorno.
Da terra promessa negli anni Ottanta, a laboratorio di incertezza quarant’anni dopo. Un territorio che ha saputo attrarre, crescere, trattenere, ma che oggi si trova davanti a un bivio: reinventarsi o lentamente spegnersi.

C’era una volta la Val di Sangro, polo industriale del Centro-Sud.
La domanda che resta sospesa è semplice e bruciante: ci sarà ancora domani?