
Dalla calorosa accoglienza del convitto fino all’alba tedesca: Matteo chiude con l’Italia e apre la porta a un futuro nuovo.
Durante il viaggio verso il convitto, Matteo ebbe il tempo di ricomporsi. Le lacrime per Eleonora si erano ormai asciugate, lasciando dentro di lui un dolore silenzioso ma anche il bisogno di guardare avanti.
Quando varcò l’ingresso fu accolto con calore, come accadeva con tutti gli ex allievi. Ma per lui quell’abbraccio aveva un sapore diverso: non era più soltanto uno studente, era un giovane uomo che portava con sé mesi di lavoro, esperienze e responsabilità.
Il professore lo invitò a pranzo come suo ospite. Matteo accettò con un misto di timore e orgoglio. A tavola non si sentì trattato come allievo, ma come collega. Che soddisfazione! Per un ragazzo di diciassette anni, essere riconosciuto in quel modo era più che un premio: era la conferma che gli sforzi non erano passati inosservati.
Il pomeriggio assistette a un’esercitazione di bar. Guardare i ragazzi dietro al banco, tra shaker e bicchieri, lo riempì di nostalgia: era come tornare indietro, ma con la consapevolezza di quanto fosse cresciuto.
Non mancò un incontro inatteso. Un ex compagno che si era fatto bocciare lo vide, gli corse incontro e lo abbracciò con impeto:
— Te ne sei andato e nessuno si è più preso cura di me per le ripetizioni. Così sono stato bocciato. Ma che Dio ti benedica per l’aiuto che mi hai dato.
Lo strinse ancora una volta. Matteo sentì gli occhi velarsi, ma resistette. Dentro, provò un misto di dolore e gratitudine: la prova che i piccoli gesti lasciavano segni profondi.
La serata la trascorse con gli istitutori, tra racconti e risate. Si sentiva a casa, in una comunità che lo aveva cresciuto e che ora lo salutava come un figlio pronto a partire per una nuova vita.
Da Verona a Monaco
La mattina seguente, di buon’ora, si incamminò verso la stazione. Il treno per Verona lo attendeva: lì avrebbe incontrato Antonio, compagno d’avventura verso la Germania.
Alla stazione, Antonio era già lì ad aspettarlo, fermo all’inizio del binario. Matteo lo raggiunse con passo veloce, le valigie in mano, e dopo un abbraccio rapido andarono subito a fare i biglietti per Francoforte. Un gesto semplice, ma che sanciva l’inizio di un’avventura tanto attesa quanto temuta.
Depositati i bagagli, si concessero una colazione veloce. Poi Antonio, che conosceva bene Verona, propose una passeggiata per ingannare l’attesa. Camminarono per le vie del centro, attraversarono piazze animate e si fermarono davanti all’Arena. Lì, in un ristorante poco distante, pranzarono con calma, cercando di godersi le ultime ore in Italia.
Nel pomeriggio tornarono in stazione e salirono sul treno diretto a Monaco di Baviera. Durante il viaggio parlarono poco: ognuno custodiva dentro di sé i propri pensieri, le paure e l’entusiasmo.
A Monaco li attese una sosta di circa due ore. Il tempo sufficiente per respirare, per la prima volta, l’atmosfera di una grande città tedesca: insegne luminose, voci nuove, odori sconosciuti che provenivano dalle birrerie attorno alla stazione. Per Matteo era tutto nuovo, quasi straniante, ma già affascinante.
L’alba di una nuova vita
Poco dopo la mezzanotte ripartirono, questa volta diretti a Francoforte. La notte scivolò lenta tra i sedili scomodi e i rumori del treno, interrotta solo da qualche breve sonno agitato. Ogni tanto Matteo guardava fuori dal finestrino: vedeva paesaggi bui, luci isolate, strade deserte. E pensava che ogni chilometro lo portava più lontano dalla sua terra e più vicino al suo futuro.
Quando il treno entrò a Francoforte era l’alba. Stanchi, assonnati, ma col cuore in tumulto, Matteo e Antonio scesero sulla banchina. Davanti a loro, una città sconosciuta e piena di promesse.
Il viaggio era finito. La nuova vita stava per cominciare.