Episodio 41 – Francoforte, i primi passi di una nuova vita

Dall’office del Savoy alle aule della Inlingua: tra lavoro, studio e nuove amicizie.

Alle dieci del mattino seguente, puntuali come promesso, Matteo e Antonio si presentarono in albergo. La prima tappa fu il guardaroba, dove ricevettero le divise. I pantaloni neri e la camicia bianca erano a loro carico, mentre l’albergo forniva la giacca: Antonio prese il gilet da rango, Matteo invece la giacca coreana, segno che sarebbe rimasto in office.

Appena entrato nel suo reparto, Matteo capì subito che non sarebbe stato facile. L’office era in completo disordine: bicchieri accatastati, vassoi da lavare, utensili sparsi ovunque. Senza scoraggiarsi, si mise al lavoro: riordinò, lavò, sistemò ogni cosa. Era il suo modo di farsi accettare, con umiltà e silenzio.

Il Savoy era organizzato con rigore. La sala principale, elegante e luminosa, si trovava al piano terra, a pochi passi dalla reception, mentre la cucina era al piano inferiore. Le comande viaggiavano attraverso una buca collegata direttamente alla cucina, e i piatti salivano e scendevano grazie a un montacarichi. C’era anche un magazzino per i vini giornalieri, mentre la cantina più grande si trovava nei sotterranei.

Il primo servizio fu una prova di resistenza. Matteo non ci capì quasi nulla: ordini urlati in tedesco, biglietti infilati nella buca, piatti che andavano e venivano senza tregua. Per lui, che non conosceva la lingua, era come muoversi in un labirinto di suoni incomprensibili. Eppure, nonostante la confusione, le tre del pomeriggio arrivarono senza intoppi: un piccolo segnale che, anche spaesato, aveva retto l’urto.

Alla fine del turno, Matteo chiese a un collega se esistesse una scuola di lingua per stranieri. Scoprì che poco distante dal Savoy c’era la Inlingua, una scuola molto conosciuta. Antonio preferì rimandare, ma Matteo no: ci andò da solo, si presentò, fece l’iscrizione e fissò le lezioni per ogni giorno dalle 15:30 alle 17:30. Nei giorni liberi, addirittura, si iscrisse anche al corso mattutino dalle dieci a mezzogiorno.

Fu una scelta coraggiosa: un impegno in più, ma anche il primo vero passo verso l’integrazione.

La sera, durante il servizio di cena, Matteo conobbe uno chef de rang spagnolo, uomo sorridente e gioviale. Tra loro scattò subito la simpatia. Amava parlare italiano, e Matteo colse al volo l’occasione: nacque così un’amicizia preziosa, un punto di riferimento in quel mondo nuovo e difficile.

Con il passare dei giorni, la vita divenne una corsa senza sosta. Tra lavoro e studio, rimaneva poco tempo per tutto il resto. Nei rari momenti liberi ripassava ciò che aveva imparato, e con sorpresa notò che molte cose tornavano alla mente con facilità. Il tedesco restava ostico, ma qualche frase si fissava, qualche espressione prendeva forma.

Fu proprio alla Inlingua che Matteo conobbe Josephine, una ragazza francese di Grenoble. Lavorava a Francoforte come ragazza alla pari: accudiva i figli di una famiglia tedesca, in cambio di vitto, alloggio e la possibilità di studiare. Tra loro nacque subito un buon feeling. Dopo le lezioni, quando il tempo lo permetteva, si fermavano insieme in un piccolo caffè vicino alla scuola. Seduti a un tavolino, tra tazze fumanti e quaderni aperti, parlavano in un misto di francese, italiano e qualche parola di tedesco.

Il lavoro all’office non passò inosservato. L’impegno e la serietà con cui Matteo svolgeva ogni compito furono apprezzati da tutti, maître compreso, e questo lo riempì di orgoglio. Intanto, grazie alla scuola e all’allenamento quotidiano, il tedesco migliorava giorno dopo giorno.

Lo chef spagnolo, divenuto ormai un buon amico, lo introdusse ad altre conoscenze. Nel condominio dove abitavano, gli fece incontrare Maria e Sofia, due connazionali spagnole molto più adulte di lui, con cui si instaurò un rapporto piacevole e sincero. La loro compagnia aggiungeva un tocco di leggerezza alle giornate spesso troppo rigide.

Matteo, intanto, si stava ambientando davvero. Aveva imparato a conoscere il macellaio e il panettiere di fiducia, e ogni volta che poteva entrava nella stessa birreria, ordinava una birra e si sforzava di scambiare due chiacchiere in tedesco. Erano piccoli esercizi, ma preziosi per sentirsi parte di quel mondo.

Perfino la burocrazia faceva parte della sua nuova vita: riuscì ad aprire un conto corrente in banca, segno che la sua permanenza in Germania non era più solo un’avventura temporanea, ma un percorso concreto.

Non gli mancava nulla: lavoro, studio, amicizie e la sensazione, sempre più forte, di aver trovato un equilibrio in quella città che all’inizio lo aveva spaventato. Francoforte non era più soltanto una sfida: stava diventando casa.