
Ci sono notizie che, lette distrattamente, fanno sorridere di orgoglio: “Nuovo asilo nido finanziato nel Medio Sangro, un edificio moderno e sostenibile, pensato per i più piccoli”. Edifici colorati, spazi sicuri, arredamenti funzionali, persino i pannelli solari sul tetto. Tutto bellissimo, tutto pronto per accogliere il futuro.
Poi però alzi gli occhi dalla pagina e guardi la realtà del territorio. E il sorriso si spegne. Perché qui, il futuro, non arriva più in fasce. Le culle sono vuote, i bambini si contano sulle dita di una mano e i giovani continuano a partire. Il risultato? Un asilo nuovo di zecca, costruito in un posto dove da anni non si sentono pianti di neonati.
Benvenuti nel paradosso italiano.
I bandi che non contano i bambini
Il Medio Sangro, come tante altre aree interne del Paese, è diventato laboratorio di contraddizioni. Da un lato i bandi pubblici e i fondi che piovono dall’alto, dall’altro la realtà di borghi svuotati, dove gli anziani restano e i ragazzi scappano.
Il meccanismo è noto: arriva il finanziamento, spesso legato a sigle che fanno tremare le gambe – PNRR, PON, FESR – e allora si prepara un progetto. La logica è semplice: se c’è un fondo disponibile, bisogna spenderlo. Che serva davvero o meno, è un dettaglio. La burocrazia non chiede “quanti bambini avete?”, ma “quanti metri quadri realizzerete?”.
E così può capitare che un piccolo borgo, con una natalità prossima allo zero, si ritrovi con un asilo nuovo, pronto a ospitare generazioni… che non ci sono.
Il Medio Sangro tra retorica e silenzi
Sulla carta, il progetto suona bene. Si parla di “inclusione sociale”, di “spazi per le famiglie”, di “opportunità per il territorio”. Nei comunicati stampa è tutto un fiorire di aggettivi: innovativo, accogliente, sostenibile.
Ma basta guardarsi intorno per capire che la vera sostenibilità manca: quella umana. Le famiglie giovani sono poche, le nascite ancora meno. Le scuole elementari arrancano, le medie sopravvivono a fatica, i pullman scolastici portano i ragazzi sempre più lontano.
La piramide demografica qui si è rovesciata: più anziani che bambini, più assenze che presenze. In questo quadro, l’asilo rischia di trasformarsi da simbolo di speranza a monumento all’assurdo.
Satira di un’inaugurazione
Proviamo a immaginare la scena. Giorno dell’inaugurazione: fascia tricolore ben stirata, microfoni pronti, discorsi solenni. Si parla di futuro, di rinascita, di prospettive per le famiglie. Si taglia il nastro tra applausi e foto ricordo.
Poi cala il silenzio. Le aule rimangono vuote, i giochi mai usati, i corridoi echeggiano solo dei passi ufficiali del giorno dell’inaugurazione.
Un asilo senza bambini è un po’ come un teatro senza pubblico o una scuola senza studenti: cattedrali nel deserto che raccontano la distanza tra istituzioni e realtà.
Le priorità capovolte
Il punto non è criticare i progetti in sé. Un asilo, se ci fossero bambini, sarebbe una splendida notizia. Ma qui il problema è un altro: si investe nel mattone e non nella vita.
Si finanzia un edificio nuovo, ma mancano medici di base.
Si realizzano spazi colorati, ma non ci sono autobus per portare i ragazzi a scuola.
Si tagliano nastri, ma si chiudono botteghe.
È come se le priorità fossero state capovolte: prima la forma, poi (forse) il contenuto. Ma un asilo, senza bambini, non è un servizio: è solo un contenitore.