E quando ci mettono del loro, il problema si fa doppio
Dopo la pubblicazione dell’articolo “Quando il sindaco diventa un posto di lavoro” alcuni lettori mi hanno chiesto: “Perché ce l’hai con i sindaci dei piccoli borghi? Lavorano come pochi, spesso si fanno in quattro per la comunità.”
È una domanda legittima, e merita una risposta chiara.

Sindaci che si fanno in quattro
In tanti paesi d’Italia il sindaco è tutto: amministratore, volontario, referente istituzionale, a volte persino operaio. Si occupa di strade, scuole, rifiuti, bandi, viabilità, emergenze. Spesso con pochissimi mezzi, indennità ridotte e tanta buona volontà.
A queste donne e a questi uomini va riconosciuto il merito: senza il loro impegno quotidiano, molti borghi sarebbero già al buio.
Il problema del sistema
La mia critica non era rivolta alle persone, ma al sistema. In Italia la carica di sindaco, soprattutto nei comuni sotto i 5.000 abitanti, diventa spesso molto più di una funzione amministrativa: è status, visibilità, piccola sicurezza economica.
In un contesto dove lavoro e prospettive scarseggiano, quella fascia tricolore rischia di trasformarsi in un “posto di lavoro”. È un meccanismo comprensibile, ma che diventa un ostacolo quando si parla di unione tra comuni: rinunciare alla poltrona significa perdere identità, ruolo, anche un reddito minimo. E così, per forza di cose, il futuro collettivo passa in secondo piano.
Ma a volte ci mettono del loro
C’è però un’aggiunta necessaria: non sempre la responsabilità è solo del sistema. A volte i sindaci stessi ci mettono del loro.
Succede che la poltrona venga difesa non per necessità, ma per ambizione personale: il prestigio di essere “primo cittadino”, il piccolo potere che in un contesto ristretto pesa più che altrove, la voglia di restare al centro della scena.
Succede che il timore di perdere visibilità o controllo prevalga sulla logica di unire forze e risorse. In questi casi, il paradosso si fa doppio: non solo il sistema non aiuta, ma chi dovrebbe guidare il cambiamento diventa il primo a bloccarlo.
Un paradosso tutto italiano
Ecco allora il cuore della questione: i sindaci dei piccoli borghi sono spesso eroi silenziosi, ma talvolta anche guardiani di un potere piccolo ma tenace.
Così, mentre la popolazione cala, i giovani emigrano e i servizi si riducono, i borghi restano immobili. Con i sindaci pronti a dire: “meglio soli che uniti”.
Conclusione
La mia non è una critica personale ai sindaci, ma a un meccanismo perverso che li spinge a difendere la poltrona più che il futuro della comunità. E, quando alla spinta del sistema si aggiunge anche l’ego di qualcuno, allora ogni progetto di unione diventa impossibile.
Se vogliamo salvare i borghi, dobbiamo liberare i sindaci da questo paradosso. Dare loro strumenti, risorse e prospettive che rendano l’unione una scelta naturale e non un sacrificio personale.
Perché il futuro dei nostri paesi non può dipendere dalla resistenza di una poltrona.