“Quando la giustizia diede un nome nuovo al male”

20 novembre 1945.
L’aula 600 del Palazzo di Giustizia di Norimberga era gremita. Dopo l’ingresso degli imputati e l’apertura solenne del processo, arrivò il momento più atteso: la lettura delle accuse.
Non era un atto di routine. Non si trattava di incriminare ladri o assassini. Quelle parole avrebbero scolpito la storia, definendo per la prima volta i crimini che un potere politico poteva commettere non solo contro i suoi nemici, ma contro l’umanità intera.
L’avvio dell’atto d’accusa
Quando il procuratore capo statunitense Robert H. Jackson si alzò di nuovo, l’aula trattenne il respiro. Con tono fermo e senza enfasi superflua, iniziò a leggere l’atto d’accusa. Le sue parole non erano soltanto giuridiche: erano pietre scagliate contro un intero regime.
Gli imputati ascoltavano in silenzio. Göring fissava Jackson con aria di sfida, Speer prendeva appunti, Hess appariva estraneo, quasi stordito. I giudici, rigidi nei loro seggi, seguivano parola per parola attraverso la traduzione simultanea.
I quattro capi d’imputazione

1. Cospirazione contro la pace
Il primo capo d’accusa non riguardava un singolo atto, ma un’intera strategia. Si accusavano gli imputati di aver cospirato per conquistare il potere e trascinare la Germania in una guerra di aggressione.
Non un delitto isolato, ma un disegno calcolato: dal riarmo clandestino agli accordi con l’Italia fascista e il Giappone, fino al patto Molotov-Ribbentrop con l’Unione Sovietica. La guerra non era stata un incidente: era stata pianificata.
2. Crimini contro la pace
Qui si elencavano le aggressioni vere e proprie: Austria, Cecoslovacchia, Polonia, Norvegia, Francia, Olanda, Grecia, Jugoslavia, Unione Sovietica. Ogni invasione rappresentava una violazione del diritto internazionale.
Per la prima volta nella storia, fare la guerra non era più un atto politico: diventava un crimine.
3. Crimini di guerra
Deportazioni, fucilazioni di ostaggi, uso del lavoro forzato, distruzione di città senza necessità militare. In aula furono letti documenti militari tedeschi che ordinavano rappresaglie, incendi e stragi. Ogni convenzione violata diventava un capo d’accusa.
4. Crimini contro l’umanità
Era la vera rivoluzione. Non riguardava solo la guerra, ma il trattamento delle popolazioni civili: persecuzioni politiche, razziali e religiose; sterminio degli ebrei; deportazioni di milioni di persone nei campi di concentramento; esperimenti medici.
Qui, per la prima volta, la parola umanità entrava in un tribunale. Non più Stati contro Stati, ma l’intera coscienza del mondo contro i crimini del Reich.
L’impatto nell’aula
Il silenzio era assoluto. Ogni traduttore, nelle cabine laterali, scandiva le parole in quattro lingue diverse. La voce metallica nelle cuffie accompagnava i volti tesi degli imputati.
Göring agitava la matita, scrivendo furiosamente appunti per la propria difesa.
Keitel e Jodl ascoltavano con espressione di pietra, come soldati davanti a un verdetto inevitabile.
Kaltenbrunner, imponente, fissava la giuria con aria glaciale.
Julius Streicher borbottava parole incomprensibili, come se neppure l’accusa potesse arrestare la sua ossessione.
Dall’altra parte, i giornalisti annotavano ogni dettaglio.
“Quattro crimini,” scrisse un cronista francese, “che ridefiniscono il senso stesso del diritto.”
Un collega americano parlò invece di “una nuova grammatica della giustizia”.
Un’innovazione radicale
Mai prima d’allora un tribunale aveva messo in discussione il diritto di fare la guerra.
Mai un’aula aveva pronunciato le parole crimini contro l’umanità.
Era una rivoluzione giuridica che molti giudici stessi faticavano a inquadrare. L’accusa non era solo contro singoli individui, ma contro un intero modo di concepire il potere.
Gli avvocati della difesa, seduti poco più in là, prendevano nota con volto cupo. Sapevano che le vecchie strategie — negare, giustificare, ridurre le responsabilità — non sarebbero bastate.
Il peso del linguaggio
Non erano solo le prove a colpire, ma le parole.
Cospirazione, aggressione, umanità: termini che fino ad allora appartenevano alla politica e alla filosofia, ora entravano nei codici penali.
Jackson lo disse chiaramente:
“Questo tribunale rappresenta il giudizio della civiltà intera.
Se questi crimini restassero impuniti, non ci sarebbe pace per nessuno.”
Era un monito che andava oltre gli imputati. Era rivolto al futuro.
Oltre Norimberga
Fuori dall’aula, Norimberga restava una città ferita, i suoi abitanti ancora in cerca di cibo e di calore.
Dentro, invece, si stava costruendo un’architettura invisibile: la base del diritto internazionale moderno.
Allora pochi potevano immaginare che quelle stesse parole sarebbero risuonate decenni dopo nei tribunali per la Jugoslavia, per il Ruanda e infine alla Corte Penale Internazionale.
Conclusione
Il 20 novembre 1945 non fu solo il giorno dell’apertura del processo.
Fu il giorno in cui il mondo decise di dare un nome nuovo al male.
I quattro capi d’imputazione non erano soltanto accuse: erano fondamenta.
Ogni volta che oggi parliamo di diritti umani, di crimini di guerra, di responsabilità dei leader, stiamo camminando sulle pietre posate allora, in quell’aula di legno e macerie.
Gli imputati ascoltavano con visi tesi, i giudici annotavano, i giornalisti scrivevano.
Ma nessuno, in quel momento, poteva sapere che stava assistendo non solo a un processo, ma alla nascita di una nuova era.
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