La guerra ai fantasmi e il silenzio sui vivi

Quando il fascismo è lo spauracchio e il comunismo un tabù

In Italia siamo maestri in una disciplina peculiare: la lotta ai fantasmi. Ogni volta che un politico resta senza argomenti, o che un intellettuale vuole alzare il tono morale, ecco che rispolvera il fascismo. È il nemico perfetto: non c’è più, non può replicare, eppure funziona sempre come spauracchio. Basta pronunciare la parola magica, e subito arrivano applausi, titoloni, tweet indignati, conferenze con il pugno chiuso e l’immancabile “mai più”.

Il fascismo è diventato un paradosso vivente: è morto da ottant’anni, ma è trattato come fosse ancora alle porte di casa. Sembra di vivere in un film di fantasmi in cui tutti combattono contro presenze che non ci sono, ma nessuno vuole guardare fuori dalla finestra per vedere chi c’è davvero.

Il fascismo eterno (per qualcuno)

Non importa se i giovani oggi non sanno nemmeno chi fosse Italo Balbo o se le nuove generazioni associano il Duce più a un meme che a una minaccia. Nei talk show italiani basta evocare il fascismo e subito cala il silenzio sacro, lo sguardo torvo, la condanna unanime. È un rito che si ripete da decenni, utile a nascondere problemi veri: disoccupazione, spopolamento, corruzione, precarietà.

Perché affrontare il caro-affitti o i salari da fame, quando è molto più comodo sventolare il drappo nero come monito eterno?

Il comunismo silenzioso

Intanto, dall’altra parte della barricata, il comunismo resta un tabù. Non esiste più il Partito Comunista Italiano, è vero. Ma la sua eredità culturale, simbolica e politica non è mai sparita del tutto. In certi ambienti universitari, sindacali o culturali, la falce e martello campeggia ancora come un’icona rispettabile, nonostante la storia abbia consegnato al comunismo un bilancio di dittature, gulag e repressioni non meno gravi di quelle del fascismo.

Provate a criticare apertamente il comunismo in un dibattito pubblico: verrete subito etichettati come reazionari, revisionisti, “nemici del popolo”. Molto meglio, quindi, continuare a combattere i morti piuttosto che disturbare i vivi.

La memoria selettiva

La verità è che l’Italia ha una memoria selettiva. Le vittime del fascismo meritano – giustamente – onori, celebrazioni, ricordi scolpiti nella pietra. Ma le vittime del comunismo? Quelle spesso restano in secondo piano. I gulag, le purghe, gli esodi forzati, le repressioni di Praga e Budapest vengono trattati come parentesi lontane, quasi incidenti di percorso.

Se il fascismo è un marchio d’infamia eterno, il comunismo viene derubricato a “esperimento mal riuscito”. Così la bilancia della memoria resta sbilanciata, e la nostra democrazia zoppa.

L’ipocrisia del presente

Eppure, se davvero avessimo a cuore la libertà, dovremmo avere il coraggio di condannare entrambe le derive con la stessa forza. Fascismo e comunismo sono state dittature diverse, ma ugualmente oppressive. Entrambe hanno negato diritti, imposto un pensiero unico, perseguitato dissidenti.

E allora perché continuare questa guerra impari? Perché fa comodo. Attaccare i fascisti è un investimento a rischio zero: non esistono più, non votano, non hanno un partito organizzato. Attaccare i comunisti, invece, rischia di bruciarti la carriera: ti ritrovi subito isolato, additato come nemico della democrazia.

Così, per convenienza, il dibattito pubblico preferisce restare nel passato. Meglio scagliarsi contro i fantasmi che osare disturbare i presenti.

I due pesi e le due misure

Un esempio lampante è il mondo accademico. Se uno studente porta in aula un libro di destra radicale, scatta subito l’allarme, il comunicato, la denuncia. Se invece appende un poster di Che Guevara, eroe romantico per i più, nessuno alza un sopracciglio. Eppure Che non era un boy scout, ma un rivoluzionario armato che non esitava a firmare condanne a morte.

Lo stesso vale nella politica. Un candidato di destra deve giurare dieci volte di non avere simpatie fasciste, altrimenti viene marchiato. Un candidato di sinistra può tranquillamente dichiararsi “orgoglioso figlio della tradizione comunista” e ricevere applausi.

Una democrazia coraggiosa

Il punto non è equiparare tutto, né fare bilanci contabili tra morti, gulag e leggi razziali. Il punto è avere il coraggio di guardare la storia per intero. La democrazia non può permettersi memorie a metà, né condanne a senso unico. Se vogliamo davvero imparare dal passato, dobbiamo avere l’onestà di dire che il fascismo fu un male, ma anche che il comunismo non fu certo un bene.

Solo così si cresce: non con le ipocrisie, non con i tabù, ma con una memoria completa.

La satira amara

E allora, mentre i politici continuano a fare la guerra ai fascisti che non ci sono più, e mentre i comunisti continuano a passeggiare indisturbati nella memoria selettiva della nazione, resta una domanda: a chi serve davvero questo teatrino?

Forse serve a chi governa, perché è sempre più facile parlare di Mussolini che di stipendi da 1200 euro. Forse serve a chi protesta, perché è più rassicurante urlare “fascista!” che ammettere di non avere proposte concrete. Forse serve agli intellettuali, perché un nemico invisibile è il migliore per fare carriera senza rischi.

E intanto, fuori dai palazzi e dai cortei, la vita continua. I giovani emigrano, i negozi chiudono, i paesi si svuotano. Ma tranquilli: l’importante è che non torni il fascismo. Sul comunismo, invece, meglio non disturbare.

Conclusione

La grande ipocrisia del nostro tempo è tutta qui: la guerra si fa ai morti, il silenzio si concede ai vivi. Continuiamo a combattere i fantasmi, ma non abbiamo il coraggio di guardare chi ci cammina accanto.

Forse perché, alla fine, fa sempre più paura il presente del passato.

✍️ Pensieri Scomposti – Sotto il cielo