Meritocrazia made in Italy: istruzioni per l’uso (che nessuno legge)

👉 “In Italia la meritocrazia c’è, almeno sulla carta. Peccato che il manuale d’uso resti quasi sempre chiuso.”


La parola più abusata e meno applicata

Ogni volta che si parla di giovani, lavoro o crescita economica, c’è un termine che spunta fuori come una bandiera: meritocrazia.
Tutti la invocano: politici, manager, accademici. Ma quando bisogna metterla in pratica, la storia cambia.

Perché in Italia meritare non basta. Conta ancora il cognome, la raccomandazione, l’età, il posto giusto al momento giusto. È come avere un manuale pieno di istruzioni e lasciarlo chiuso nel cassetto.


Meritocrazia all’italiana

La versione italiana della meritocrazia ha caratteristiche particolari:

  • Funziona solo per pochi: spesso in contesti dove l’eccezione diventa la regola da sbandierare.
  • Si ferma alla retorica: si parla di premiare il talento, ma poi i contratti sono uguali per tutti, indipendentemente dai risultati.
  • Si piega alle convenienze: viene applicata finché non intralcia equilibri interni, gerarchie o “consuetudini” consolidate.

Insomma, non è una regola: è un optional, usato a discrezione.


Giovani che partono, competenze che si sprecano

Le conseguenze sono chiare: chi ha talento e non trova spazio, parte. All’estero non mancano i difetti, ma spesso le opportunità sono più trasparenti.
In Italia, invece, il messaggio implicito è: non importa quanto vali, importa chi conosci.

Il risultato? Una fuga silenziosa che impoverisce aziende, università e istituzioni. Un Paese che forma capitale umano e poi lo regala altrove.


Meritocrazia e aziende: un’occasione persa

Il tema non riguarda solo lo Stato. Anche molte imprese italiane faticano a premiare davvero il merito.

  • Carriere bloccate da logiche di anzianità.
  • Manager selezionati più per fedeltà che per capacità.
  • Idee innovative che restano chiuse in un cassetto perché “qui si è sempre fatto così”.

Eppure, la meritocrazia è un vantaggio competitivo. Un’azienda che valorizza i migliori non solo trattiene talenti, ma diventa più innovativa e più resiliente.


Perché il manuale resta chiuso

Ci sono almeno tre ragioni per cui il manuale della meritocrazia in Italia non viene letto:

  1. Culturale → storicamente contano più le relazioni personali che le capacità.
  2. Politica → meritocrazia richiede trasparenza e regole uguali per tutti: difficile da conciliare con clientelismi e favori.
  3. Organizzativa → applicarla davvero richiede sistemi di valutazione chiari, investimenti in formazione e un cambio di mentalità.

Tutto ciò costa tempo e fatica: molto più comodo lasciare il manuale sullo scaffale.


Istruzioni per l’uso (stavolta sul serio)

Se volessimo aprirlo davvero, il manuale della meritocrazia direbbe cose semplici ma rivoluzionarie:

  • Premiare i risultati, non le apparenze.
  • Garantire opportunità uguali di partenza: stesso accesso a scuole, concorsi, selezioni.
  • Valorizzare chi porta idee nuove, anche se scomode.
  • Smettere di confondere obbedienza con competenza.

La meritocrazia non è un concetto astratto: è una pratica quotidiana.


Una scelta di futuro

Un Paese che non legge il manuale della meritocrazia rischia di restare fermo. Le persone capaci se ne vanno, quelle che restano si adattano, e il sistema nel complesso si indebolisce.

Al contrario, aprire quel manuale significa costruire futuro. Significa dire a un giovane: se vali, qui puoi crescere. E a un professionista: il tuo impegno non è invisibile.


Conclusione

In Italia la meritocrazia non manca: manca la voglia di usarla. Il manuale è lì, a portata di mano, ma preferiamo lasciarlo a prendere polvere.

👉 Meritocrazia made in Italy: istruzioni per l’uso (che nessuno legge).

E voi, avete mai avuto la sensazione che il vostro merito non fosse riconosciuto?