
👉 “Un tempo si lasciava la scuola per andare a bottega. Oggi si lascia il Paese per andare all’estero.”
Una nuova emigrazione, ancora più precoce
La parola “emigrazione” evoca spesso immagini di valigie di cartone, treni affollati e partenze dolorose verso il Nord o l’estero negli anni del boom economico. Ma c’è un aspetto di questo fenomeno che oggi colpisce ancora di più: la partenza non avviene più solo dopo la maggiore età o con la laurea in tasca.
In molte zone d’Italia, soprattutto nei piccoli paesi di montagna o nelle aree periferiche, l’emigrazione inizia già dai banchi di scuola. Ragazzi di 13, 14, 15 anni che devono lasciare la propria comunità non per scelta, ma per necessità. Non ci sono scuole vicine, i trasporti sono costosi e scarsi, e la geografia decide al posto loro.
Così la scuola, che dovrebbe essere il luogo dell’incontro e della formazione, diventa paradossalmente il primo motivo di separazione.
Pendolari a 14 anni
Chi vive nei borghi lo sa bene: spesso la prima vera esperienza di autonomia non è l’università, ma l’autobus per la città. Si parte al mattino presto, si torna al pomeriggio tardi, dopo ore di viaggio. Alcuni, per non sopportare ogni giorno questa fatica, restano in città durante la settimana, ospitati da collegi, convitti o pensionati.
In pratica, a 14 anni molti ragazzi hanno già la valigia pronta. Non è la valigia dei sogni, ma quella della sopravvivenza scolastica.
Questa condizione segna profondamente la crescita: da un lato sviluppa responsabilità e resilienza, dall’altro rompe troppo presto il legame con la comunità di origine. Quando si parte così giovani, tornare diventa sempre più difficile.
Il caro-trasporti come barriera invisibile
Negli ultimi anni, il costo dei trasporti è diventato un vero e proprio ostacolo al diritto allo studio. Gli abbonamenti degli autobus sono aumentati, i servizi restano insufficienti e le famiglie devono sobbarcarsi spese importanti per garantire ai figli un’istruzione adeguata.
In molte aree interne, un autobus in meno equivale a un’opportunità in meno. Non si tratta solo di collegamenti, ma di pari dignità educativa. Perché uno studente di un borgo dovrebbe partire svantaggiato rispetto a un coetaneo di città, solo per questioni logistiche?
Il rischio è che la scuola diventi un lusso, accessibile pienamente solo a chi vive nei centri urbani o ha risorse economiche per sostenere spostamenti e alloggi.
Un biglietto di sola andata
Ogni volta che un ragazzo lascia il proprio paese per studiare in città, porta con sé anche una parte di comunità. Non sempre tornerà. Le amicizie, le opportunità, la vita che si costruisce altrove diventano calamite potenti.
La conseguenza è un circolo vizioso:
- i giovani partono presto,
- i paesi restano vuoti,
- i servizi si riducono ulteriormente,
- e altri giovani saranno costretti a partire.
Così, la valigia che accompagna i quattordicenni diventa un simbolo di futuro che si allontana.
Una perdita collettiva
Il danno non è solo individuale. È collettivo.
- Per le famiglie, significa sacrifici economici e affettivi.
- Per le comunità locali, significa spopolamento e impoverimento sociale.
- Per il Paese, significa formare giovani che forse non restituiranno mai il loro contributo a casa propria.
È come investire nella semina e lasciare che il raccolto lo facciano altri.
Diritto allo studio = diritto a restare
Il diritto allo studio non è solo avere una scuola aperta, ma poterla raggiungere senza ostacoli insormontabili. È un tema che dovrebbe stare al centro dell’agenda politica ed economica.
Tre sono i punti chiave per invertire la rotta:
- Trasporti accessibili ed efficienti
- Abbonamenti calmierati o gratuiti per studenti pendolari.
- Orari compatibili con le esigenze scolastiche.
- Collegamenti garantiti anche nei borghi più piccoli.
- Scuole diffuse e collegate
- Evitare eccessive concentrazioni nei grandi centri urbani.
- Mantenere istituti scolastici di prossimità, anche in forma associata tra più comuni.
- Investimenti nelle aree interne
- Portare laboratori, tecnologie, attività extracurricolari anche fuori dalle città.
- Valorizzare le comunità come luoghi di crescita e non solo di partenza.
Dal banco alla valigia: un simbolo che pesa
C’è una grande differenza tra fare la valigia a 14 anni e farla a 24. A ventiquattro è una scelta, un’avventura, un atto di indipendenza. A quattordici è spesso una rinuncia, una necessità, un taglio con le radici che arriva troppo presto.
Se la scuola diventa il primo motivo per cui partire, allora smette di essere un motore di sviluppo e diventa un acceleratore di spopolamento.
Conclusione
Un tempo si lasciava la scuola per andare a bottega, imparando un mestiere vicino a casa. Oggi si lascia il Paese già durante gli studi, e spesso non si torna più.
👉 Se la scuola diventa un biglietto di sola andata, non ci sarà futuro da costruire qui.
E voi, cosa ne pensate? Avete vissuto o visto esperienze di ragazzi costretti a emigrare già per studiare?