
Il Parlamento europeo rifiuta la commemorazione per l’americano ucciso. Un escamotage burocratico che allontana le istituzioni dalla normalità e dalla sensibilità comune.
Il Parlamento europeo non è nuovo a polemiche, ma questa volta l’ha fatta davvero grossa.
Alla richiesta di osservare un minuto di silenzio per ricordare l’americano ucciso, Charlie Kirk, la presidenza dell’aula ha risposto con un elegante escamotage: il regolamento affida solo al presidente il potere di concederlo, e dunque niente commemorazione. Fine della discussione. O meglio: fine sul piano formale, inizio della polemica politica e mediatica.
Il paradosso del cavillo
Un minuto di silenzio non è una legge, non è un trattato, non è una manovra economica da centinaia di miliardi. È un gesto simbolico, piccolo ma potente. Eppure, in questa Europa sempre più rinchiusa nelle procedure, si è riusciti a trasformarlo in un caso da regolamento interno. Non è stato detto: “Non lo vogliamo”, sarebbe stato troppo diretto. È stato detto: “Non possiamo, non è previsto”. Che è molto più elegante, ma anche molto più ipocrita.
E allora ci si chiede: davvero un Parlamento che si proclama voce dei popoli non trova sessanta secondi per onorare una vittima di violenza? Davvero la dignità di un uomo ucciso dipende da un comma nascosto in un regolamento? Davvero la burocrazia deve avere la precedenza sulla pietà?
La memoria selettiva
Il problema non è solo formale. Perché in passato, altri minuti di silenzio sono stati concessi eccome. George Floyd, ad esempio, ricevette la commemorazione. Perché lui sì e Charlie Kirk no?
Qui sta il cuore della questione: la memoria diventa selettiva, il dolore diventa ideologico. Non si piange un uomo per ciò che è — una vita spezzata — ma per ciò che rappresenta. Se le sue idee piacciono, allora un minuto di silenzio diventa un atto dovuto. Se non piacciono, ecco che il cavillo spunta dal cassetto.
È come se l’Europa dicesse: “Non tutte le vittime sono uguali. Alcune meritano rispetto, altre meno”. Una distinzione che non solo è ingiusta, ma pericolosa. Perché apre la porta a un’idea distorta: che la dignità umana sia negoziabile a seconda dell’orientamento politico.
Lontani dalla normalità
La normalità, quella vera, fuori dai palazzi, è diversa. Se un ragazzo viene ucciso in strada, la gente si ferma, abbassa la testa, prega in silenzio, anche senza sapere chi fosse. È un gesto spontaneo, naturale, che non ha bisogno di delibere né di voti. È il linguaggio universale del rispetto.
Invece, il Parlamento europeo ha scelto la strada opposta: rendere eccezionale ciò che dovrebbe essere normale, complicare ciò che è semplice, politicizzare ciò che dovrebbe restare umano. In questo, sì, l’Europa appare sempre più lontana. Non dalle grandi strategie geopolitiche, ma dalla sensibilità comune delle persone.
Il costo del silenzio negato
E pensare che un minuto di silenzio non costa nulla. Sessanta secondi di sospensione, di raccoglimento, di silenzio condiviso. Non impoverisce nessuno, non toglie tempo ai lavori parlamentari (che spesso sono pieni di interruzioni, rinvii, votazioni a vuoto). Al contrario, arricchisce l’aula di un momento di umanità.
Rifiutarlo invece ha un costo enorme: quello della credibilità. Perché oggi i cittadini vedono un’istituzione che si aggrappa a un cavillo per non compiere un gesto di rispetto. E se non si riesce nemmeno a trovare un minuto per onorare un morto, come si potrà convincere la gente che l’Europa saprà trovare le ore e i giorni necessari per affrontare le grandi sfide — dalla crisi energetica alla sicurezza, dall’occupazione alla pace?
La satira del paradosso
Immaginate la scena: un eurodeputato chiede “Un minuto di silenzio, presidente”.
La presidenza risponde: “Non è all’ordine del giorno. Il regolamento dice che i minuti di silenzio sono di competenza della presidenza. E io decido di no”.
E così l’aula non si ferma, i microfoni continuano a gracchiare, le mani a battere, le carte a frusciare. Tutto regolare, tutto conforme.
Se non fosse tragico, sarebbe comico. Sembra una scenetta da teatro dell’assurdo: l’istituzione che difende il diritto di parola, ma non trova spazio per il diritto al silenzio.
La politica delle “vittime a colori”
Forse la verità è che viviamo in un’epoca di vittime a colori. Ci sono vittime “bianche” e vittime “nere”, vittime che fanno comodo e vittime scomode. E il silenzio non è più un atto universale, ma una scelta di campo. Così si perde il senso profondo della pietà: la capacità di vedere l’uomo oltre le bandiere, oltre le idee, oltre le divisioni.
In questo senso, il rifiuto del minuto di silenzio non è un dettaglio: è un segnale. Ci dice che la politica europea è ormai talmente intrappolata nelle sue logiche da non riuscire più a compiere nemmeno i gesti più semplici. Ci dice che l’umanità è stata sostituita dalla strategia, il rispetto dalla convenienza, la normalità dall’escamotage.
E adesso?
Cosa resta, dopo questo episodio? Restano le immagini di deputati che protestano battendo le mani sui banchi. Resta la rabbia di chi si è sentito umiliato da una decisione burocratica. Resta il sospetto che, ancora una volta, l’Europa parli di valori universali, ma poi li applichi in modo selettivo.
E resta la domanda più semplice e più inquietante: se nemmeno davanti alla morte si riesce a trovare un minuto di silenzio, cosa resterà domani, quando le sfide saranno ancora più grandi?
Forse l’Europa dovrebbe ricordarsi che non tutto si può regolare con un cavillo. Che ci sono momenti in cui la vita — e la morte — devono venire prima della politica. Che un minuto di silenzio non è una concessione, ma un dovere. E che ogni volta che lo si nega, non si perde solo credibilità: si perde un pezzo di umanità.
Conclusione
Il rifiuto del minuto di silenzio è un piccolo episodio, ma simbolico. Mostra un’Europa che usa l’escamotage per evitare di sporcarsi le mani con la realtà. Mostra un’istituzione che teme il dissenso più del dolore, che preferisce rifugiarsi nella procedura piuttosto che affrontare l’evidenza: un uomo è stato ucciso, e meritava almeno un gesto di rispetto.
E allora sì, questo escamotage allontana sempre di più l’Europa dalla normalità. Perché la normalità, nelle piazze e nelle case, resta una cosa semplice: fermarsi un attimo, chinare il capo e tacere. Sessanta secondi che valgono più di mille discorsi.