Pensione integrativa dalla culla: perché anche l’Abruzzo dovrebbe pensarci

In Germania, dal 2026, ogni bambino dai 6 ai 18 anni riceverà 10 euro al mese per costruirsi una pensione integrativa. Una cifra simbolica, certo, ma che, moltiplicata per milioni di giovani, diventa un investimento sul futuro. Non è un bonus per le famiglie, non è un assegno per pagare pannolini o libri di scuola: è un segnale politico e culturale. Lo Stato dice a un’intera generazione: “Noi ci crediamo in voi, e iniziamo a costruire insieme la vostra sicurezza”.

Un approccio simile lo si ritrova in Trentino Alto Adige, dove il Consiglio regionale discuterà un disegno di legge che prevede un contributo di 300 euro alla nascita e 200 euro l’anno per i quattro successivi, a condizione che la famiglia versi nello stesso fondo almeno 100 euro all’anno. In totale 1.100 euro pubblici per ogni bebè, a cui si aggiunge la partecipazione delle famiglie. Non è una rivoluzione, ma è un modo concreto per dire che il futuro non si costruisce solo con le scuole dell’infanzia o i bonus bebè spot, bensì con un percorso che accompagna i bambini fin dai primi giorni di vita.

E in Abruzzo?

Qui il panorama è molto diverso. Quando si parla di famiglie e di giovani, i riflettori si accendono solo in occasioni particolari: la Giornata della natalità, una conferenza stampa in Regione, l’inaugurazione di un asilo nido (magari frutto di fondi europei). Poi cala il sipario. L’attenzione vera, quella che si misura in bilancio e in scelte politiche, finisce spesso altrove.

Perché diciamolo chiaramente: in Abruzzo si spende per inaugurare. Nuove rotatorie, piazze sistemate, passerelle lungo i fiumi, marciapiedi ritoccati. Ogni volta la stessa scena: fascia tricolore, forbici, applausi, foto di rito. Un rito che conosciamo bene, che sembra il vero collante della politica locale.

Eppure ci sono Comuni che non spenderebbero un centesimo per queste misure, semplicemente perché lì non nasce più un bambino da anni. Il registro anagrafico segna solo decessi e trasferimenti. Gli unici arrivi sono quelli dei turisti estivi o di qualche emigrato che torna a ferragosto. Ma i nastri, quelli sì, non mancano mai: per un marciapiede rifatto, una sala comunale tinteggiata, una fontana “riqualificata”. E il paradosso sta proprio qui: celebriamo opere senza futuro, mentre ci rassegniamo all’assenza di nuovi nati.

E non è una questione di partiti: destra, sinistra, sopra, sotto o di traverso, tutti uguali. Nessuno ha avuto il coraggio di proporre un investimento serio sui nuovi nati. Si litiga su chi deve inaugurare la piazza o il campo sportivo, ma sul futuro dei bambini cala un silenzio bipartisan.

Se ci fermiamo un attimo a riflettere, la fotografia è impietosa. L’Abruzzo è tra le regioni con la natalità più bassa d’Italia, eppure il dibattito politico regionale sembra spesso disinteressato al tema. Non si parla di misure strutturali, non si aprono tavoli seri per capire come sostenere le famiglie che decidono di avere figli. Ci si limita a interventi frammentari, come se i bambini fossero un affare privato, non una questione pubblica.

E invece proprio l’Abruzzo, che tanto soffre lo spopolamento, avrebbe bisogno di misure innovative. Non bastano gli incentivi per aprire un B&B, non bastano i contributi per ristrutturare la casa nel borgo. Servono politiche che dicano ai giovani: “Se decidi di restare, noi ti accompagniamo lungo tutta la tua vita”. Un messaggio che si traduce in scelte concrete: una rete di servizi per l’infanzia, sostegni economici, ma anche strumenti di previdenza che guardino a lungo termine.

Immaginiamo la scena: la prossima volta che si taglia un nastro per un parco giochi o una palestra, accanto alla targa ci sia anche l’impegno concreto della Regione a destinare risorse per la pensione futura dei bambini che quel parco o quella palestra useranno. Sarebbe una svolta. Non più solo feste e brindisi, ma un investimento invisibile, silenzioso, che non fa notizia nell’immediato ma che costruisce fiducia.

Forse l’Abruzzo non potrà permettersi i 3,2 milioni stanziati in Trentino, ma potrebbe cominciare con un progetto pilota. Anche solo 100 euro all’anno per ogni nuovo nato: una cifra minima, certo, ma sufficiente per dire che la politica regionale ha capito una cosa semplice. Le inaugurazioni passano, i bambini restano.

E qui sta il nodo: siamo disposti a spostare risorse dai nastri tricolori alle nuove culle? Siamo capaci di guardare oltre il consenso immediato e la foto sulla stampa locale?

Non si tratta di copiare pedissequamente la Germania o il Trentino, ma di prendere spunto. L’Abruzzo non è una regione ricca, ma ha un grande capitale umano che rischia di disperdersi. Ogni giovane che parte è un pezzo di futuro che se ne va. Ogni bambino che non nasce è una campanella che non suonerà più, un campo sportivo che resterà vuoto, una scuola che chiuderà i battenti.

Un fondo previdenziale per i neonati non è la soluzione di tutto, ma sarebbe un segnale forte: “Qui non celebriamo solo opere pubbliche, celebriamo le persone”.
E in un Abruzzo che si svuota, questo potrebbe fare davvero la differenza.

👉 Un argomento di cui torneremo a parlare.