📊 Sei borghi, un futuro comune: la fusione che può nascere solo dal basso

“Un sogno nel cassetto che può diventare realtà”

Tra i monti e le vallate della Maiella orientale resistono sei piccoli comuni: Montenerodomo, Colledimacine, Torricella Peligna, Gessopalena, Pennadomo e Roccascalegna. Sei comunità con storie e tradizioni uniche, ma insieme non superano i 4.250 abitanti.

Oggi ciascun borgo porta avanti da solo la propria amministrazione: sei sindaci, sei giunte, sei consigli, sei bilanci, sei segretari, sei revisori. Una moltiplicazione di strutture che pesa sui conti e lascia i paesi deboli e isolati.

La fusione in un unico comune non è fantascienza: è un’opportunità concreta.


I numeri della fusione

  • Risparmi di gestione: circa 250–300 mila euro l’anno in meno di spese per organi politici, segretari, revisori e burocrazia.
  • Incentivi statali: per 15 anni, 400–600 mila euro l’anno aggiuntivi per un comune unico di questa dimensione.

👉 Totale: quasi un milione di euro l’anno in più rispetto a oggi. Risorse da investire in scuolabus, strade, servizi sociali, digitalizzazione, turismo.


Servizi garantiti e distribuiti

La fusione non vuol dire chiudere porte o togliere servizi, ma rimetterli in ordine per renderli più accessibili e sostenibili. L’obiettivo è avere un comune più forte, senza lasciare nessun borgo indietro.

📚 Scuola

  • I plessi scolastici non si toccano: restano dove ci sono alunni, perché sono presidi fondamentali contro lo spopolamento.
  • Un comune unico ha più voce con la Regione e con l’Ufficio scolastico per difendere classi e sezioni, ottenere docenti stabili, investire in mense e trasporto scolastico.
  • Si possono garantire servizi integrativi comuni (doposcuola, laboratori digitali, attività culturali) che oggi, frammentati, non si riescono a sostenere.

🏛️ Municipio e uffici

  • Serve una sede centrale (Torricella Peligna o Gessopalena, entrambe baricentriche e più accessibili). Qui si collocano sindaco, giunta e uffici principali.
  • In ogni paese restano sportelli decentrati per anagrafe, tributi, certificati, pagamenti, con personale fisso o a rotazione. Nessuno sarà costretto a spostarsi decine di chilometri per una carta d’identità o per pagare l’IMU.
  • Grazie al digitale e allo sportello online unico, molti servizi potranno essere richiesti da casa, riducendo le code e gli spostamenti.

🛡️ Altri servizi

  • Protezione civile: oggi ogni comune ha risorse minime; uniti si può avere un gruppo più attrezzato, mezzi condivisi e una sede operativa coordinata, con nuclei locali pronti a intervenire.
  • Biblioteche e cultura: meglio una rete bibliotecaria diffusa, con punti di lettura in ogni paese e un calendario comune di eventi.
  • Palestre e sport: sfruttare meglio le strutture esistenti, collegandole in un circuito unico per tornei scolastici e attività giovanili.
  • Centri culturali e sale civiche: ogni borgo mantiene la sua sala, ma la programmazione diventa unica, con eventi che ruotano nei sei paesi.
  • Servizi sociali: un’unica équipe per assistenza domiciliare, disabilità, anziani soli. Con più fondi e più professionalità si possono garantire interventi capillari, non a macchia di leopardo.

👉 In questo modo, nessun paese viene svuotato: ognuno mantiene una funzione visibile, ma con più qualità ed efficienza. La fusione non toglie, redistribuisce e potenzia.


Il nodo dei campanili

L’ostacolo vero non è economico ma culturale: i campanilismi.
Chi vuole che il municipio resti “a casa sua”, chi teme di perdere importanza, chi diffida del vicino. Ma oggi, con paesi da poche centinaia di abitanti, restare divisi significa essere tutti più deboli.

La fusione non cancella le identità: ogni ex-comune può diventare municipalità o frazione, con la propria festa patronale, la propria tradizione, il proprio nome. L’unione non toglie memoria, la rafforza.


Perché dall’alto non accadrà mai

Gli amministratori locali non hanno alcun incentivo a promuovere una fusione. Ecco perché:

  1. Poltrone e visibilità – oggi 6 sindaci, 6 vice, 12 assessori e decine di consiglieri. Con la fusione quelle cariche si ridurrebbero drasticamente.
  2. Reti locali di influenza – sedi, incarichi, micro-appalti, contributi a eventi: leve che verrebbero perse.
  3. Prezzo politico – chi propone la fusione rischia di passare come “quello che chiude il comune”.
  4. Inerzia amministrativa – unire bilanci, software e personale richiede mesi di lavoro e competenze che spesso i micro-enti non hanno.
  5. Calcolo elettorale – in paesi così piccoli bastano 30–50 voti per ribaltare un’elezione. Il campanile paga alle urne.
  6. Unioni di facciata – si preferiscono le Unioni di Comuni, che salvano le poltrone ma non portano veri risparmi né incentivi.

👉 In sintesi: nessun amministratore farà da solo un passo che riduce potere e visibilità.


Come partire dal basso

Se la politica non si muove, devono muoversi i cittadini. La fusione può nascere solo da una spinta dal basso, chiara e organizzata.

  • Comitato civico intercomunale – cittadini, Pro Loco, imprese, scuole, associazioni.
  • Studio pubblico di fattibilità – con numeri, risparmi e garanzie.
  • Carta delle Garanzie ai cittadini – sportelli in ogni paese, scuole garantite, municipalità con piccoli budget, sede centrale scelta per criteri oggettivi.
  • Mozioni popolari nei consigli – stesso testo in tutti i comuni, nella stessa settimana.
  • Assemblee pubbliche itineranti – una per paese, con numeri alla mano.
  • Petizione unica intercomunale – almeno il 10–15% degli elettori, per rendere costoso ignorare la richiesta.
  • Protocollo d’intesa – tempi, metodo, “no campanile”, tutela dei servizi.
  • Referendum consultivo – parola ai cittadini, alibi finiti.
  • Comunicazione unitaria – sito e social con domande&risposte, mappe, garanzie scritte.
  • Clausole anti-campanile nello statuto – funzioni ripartite su più sedi, consulta delle frazioni, eventi istituzionali itineranti.

Conclusione

La fusione significherebbe quasi un milione di euro in più ogni anno e più forza per difendere scuole, servizi e futuro. Ma non arriverà dall’alto: gli amministratori non rinunceranno spontaneamente alle loro poltrone.

Sarà possibile solo se i cittadini lo vorranno davvero, organizzandosi con comitati, garanzie scritte, assemblee e referendum. Solo quando la comunità deciderà che è meglio costruire insieme un futuro comune piuttosto che restare divisi da campanili che oggi non proteggono più nessuno.

👉 Sei borghi, insieme, possono diventare una comunità unica, più forte e più viva.


✍️ Riflessione personale

Mi rivolgo a tutti i cittadini che amano il proprio borgo.
L’unico modo per non morire – o almeno per cercare di non morire – è quello di unirsi.

Per il bene dei nostri figli e dei nostri nipoti, cominciamo a parlarne. Anche solo aprire il confronto sarebbe già una buona partenza.

Vi chiedo di condividere questo articolo, così che possa raggiungere il maggior numero possibile di cittadini.

Grazie a tutti.