
Urla, spintoni e sceneggiate: altro che onorevoli, sembrano studenti ripetenti senza educazione civica.
Un’aula o una scuola media?
La scena è nota: il telegiornale in prima serata, l’aula parlamentare trasformata in un’arena. Spintoni, urla, accuse reciproche, braccia alzate. E noi spettatori, seduti sul divano, che ci chiediamo: ma è davvero il Parlamento o un’aula scolastica alla terza ora del lunedì?
Guardandoli, la tentazione è forte: più che onorevoli deputati sembrano studenti indisciplinati. Di quelli che il professore minaccia di mandare dal preside per la terza volta in una settimana. E in fondo, l’immagine funziona: il Parlamento come una scuola dove le lezioni si fanno sempre più rare e le risse sempre più frequenti.
Il registro di classe dei deputati
Immaginate di aprire il registro di classe:
- Condotta: gravemente insufficiente.
- Partecipazione: solo quando si tratta di urlare.
- Lavori di gruppo: trasformati in lotte libere.
- Educazione civica: materia sconosciuta, anche se la insegnano proprio lì dentro.
Gli italiani, che in questa commedia recitano la parte dei genitori convocati, assistono a queste sceneggiate con un misto di rassegnazione e sarcasmo. Perché alla fine il problema non è tanto la rissa in sé — anche a scuola può capitare che due compagni se le diano di santa ragione. La differenza è che a scuola arriva una nota, una sospensione, un richiamo ai genitori. Qui, invece, non succede nulla: il giorno dopo si riprende come se niente fosse, in attesa della prossima lite.
Dal banco alla rissa: la storia si ripete
Chi conosce un po’ di storia sa che non è la prima volta che il Parlamento italiano diventa teatro di risse. Già nell’Ottocento volavano schiaffi e insulti; negli anni ’50 e ’60 ci furono scene memorabili, con deputati che si lanciavano faldoni addosso.
La differenza, però, sta nel contesto: allora la politica aveva un peso enorme nella vita quotidiana e dietro quelle risse c’erano spesso conflitti ideologici fortissimi. Oggi, invece, sembra più un rituale televisivo.
La rissa di ieri non sarà ricordata nei libri di storia: sarà ricordata nei meme su TikTok. E questa è forse la vera condanna. Perché quando la politica smette di essere “scontro di idee” e diventa “contenuto da ridere”, il danno è doppio: ridicolizza le istituzioni e diseduca chi guarda.
Se i giovani guardano e ridono
Ed è qui che entra in gioco la questione più delicata: cosa pensano le nuove generazioni?
Un ragazzo che accende il telegiornale e vede parlamentari che urlano come adolescenti in gita, probabilmente conferma il sospetto che già ha: la politica non è un luogo serio, ma un palcoscenico di teatrini.
E allora la reazione è duplice: o scrolla le spalle, trasformando l’episodio in un meme da condividere, oppure si allontana ancora di più da ogni idea di impegno civico.
E se la politica diventa ridicola agli occhi dei giovani, la vera perdita è il futuro. Perché senza fiducia, senza credibilità, chi mai vorrà spendere energie per partecipare? La democrazia non muore di colpi di mano, ma di disinteresse.
Se accadesse altrove
Proviamo a fare un paragone: cosa succederebbe se in un ufficio due colleghi si prendessero a spintoni davanti al capo? Verrebbero sospesi, forse licenziati.
E se capitasse in una fabbrica? Scatterebbero provvedimenti immediati per garantire la sicurezza. A scuola, come detto, arriva la nota sul registro e il richiamo ai genitori.
Nel Parlamento, invece, succede il contrario: più grande è la sceneggiata, più spazio si ottiene nei media. È il paradosso di un’istituzione che invece di punire i comportamenti indecorosi finisce per premiarli con visibilità.
L’aula che dovrebbe insegnare
Il punto è proprio questo: il Parlamento dovrebbe essere la massima aula di educazione civica del Paese, e invece è diventato il contrario.
Lì dove si dovrebbero insegnare il rispetto, il dialogo, il confronto delle idee, assistiamo a scene che nemmeno in una curva da stadio.
E non si dica che “sono solo momenti di tensione”. Perché in quei gesti, in quelle urla, c’è il messaggio più chiaro: che chi ha il potere non ha bisogno di regole, perché tanto se la cava comunque. È un messaggio devastante, che scivola giù per la società e arriva dritto nelle case.
Una maestra in Parlamento?
Forse ci vorrebbe davvero una maestra con il registro in mano, pronta a distribuire note di condotta. Immaginate la scena:
- “Onorevole, la smetta subito o la mando fuori dall’aula”.
- “Lei, invece, torni a posto e ascolti senza interrompere”.
- “E lei, non si permetta di alzare le mani sul compagno”.
Ridiamo, certo. Ma sotto la risata resta l’amarezza: perché a scuola, almeno, un giorno si cresce. A Montecitorio, invece, sembra che la classe resti sempre la stessa, con studenti ripetenti che non imparano mai la lezione.
Conclusione: la nota sul registro
E allora, da genitori-elettori, possiamo solo scrivere la nostra valutazione finale:
“Comportamento da rivedere. Atteggiamento non adeguato al ruolo. Forte tendenza alla rissa. Capacità di confronto quasi nulla. Urgente un corso di educazione civica.”
Il Parlamento come classe di scuola media: l’unica differenza è che a scuola si cresce. Qui, invece, sembra che la campanella suoni sempre, ma la lezione non inizi mai.