Episodio 44# – “Un’estate che profuma di addio”

Tra Francoforte, viaggi e giornate con Josephine, Matteo impara che ciò che resta non è la durata ma l’intensità dei momenti vissuti.

Con l’arrivo della primavera, la vita di Matteo a Francoforte sembrava aver trovato un equilibrio. Le giornate erano scandite dalla scuola, che rimaneva sempre in primo piano, e dai momenti trascorsi con Josephine, ormai molto più che un’amicizia occasionale. Ogni caffè condiviso, ogni passeggiata dopo le lezioni lasciava intravedere un legame che cresceva con naturalezza.

Anche il lavoro al Le Turbillon proseguiva senza intoppi. Ogni settimana Matteo imparava qualcosa di nuovo: non solo la tecnica dei cocktail o i segreti del banco bar, ma soprattutto l’arte di muoversi in un ambiente internazionale, fatto di clienti esigenti e colleghi con esperienze diverse.

Fu in quel periodo che conobbe Ester, la compagna del barman Jürgen. Una donna energica, generosa e dal cuore grande. Per l’affetto che gli dimostrava, Matteo iniziò a chiamarla affettuosamente Mutti, “mamma” in tedesco. E in effetti, per lui, lo diventò davvero: una presenza calorosa che seppe riempire i vuoti di nostalgia che ogni tanto riaffioravano. La domenica divenne un appuntamento fisso: pranzo a casa di Ester. La cucina tedesca non era quella che Matteo amava di più, ma i piatti preparati da Mutti avevano qualcosa di speciale.

Non ci furono grandi scosse in quei mesi: l’unico fatto importante fu il passaggio a un grado superiore della scuola, sia per Matteo che per Josephine. Il vantaggio di lavorare di notte gli permetteva di vivere le lunghe passeggiate lungo il fiume con lei, momenti semplici ma pieni di significato. Era un periodo felice: a casa, in Abruzzo, tutto procedeva normalmente e Matteo si sentiva finalmente in pace con sé stesso.

Con l’arrivo delle belle giornate, però, nacque una nuova abitudine: appena si presentava l’occasione, Matteo e Josephine partivano per uno o due giorni, alla scoperta di città diverse. Berlino fu la tappa più emozionante: Matteo voleva vedere con i propri occhi quel muro di cui tanto si parlava. La capitale non era Francoforte, ma una vera metropoli, viva e divisa, che gli lasciò un’impressione profonda. Poi ci furono Düsseldorf, Colonia e Monaco: ogni viaggio era un tassello in più, un’esperienza condivisa che li legava sempre di più. Non c’era bisogno di parole: entrambi sapevano che l’estate avrebbe portato la loro separazione, e per questo vivevano ogni momento con intensità.

In agosto, un cambiamento improvviso: il Le Turbillon chiudeva per ferie. Sembrava un intoppo serio, ma Jürgen si dimostrò ancora una volta gentile. Parlò con il maître e trovò una soluzione: per quel mese Matteo sarebbe tornato a lavorare in sala, e a settembre avrebbe potuto prendersi due settimane di ferie per rientrare a casa. Una mediazione perfetta, che lo rese felice.

Intanto, l’estate a Francoforte aveva i suoi riti. Andava di moda trascorrere le giornate nei parchi con piscina: Matteo e Josephine, marinando qualche volta la scuola (che non chiudeva mai), passarono così momenti spensierati, tra sole, acqua e risate.

In quell’estate speciale arrivò anche un invito importante: Matteo fu accolto nella casa dove Josephine lavorava, dai genitori dei bambini che lei accudiva. Per lui fu una sorpresa, ma anche un onore: segno che il legame con Josephine era visto con simpatia e rispetto da chi la circondava.

Col passare dei giorni, Matteo si accorgeva di quanto il tempo scorresse veloce. I giorni sembravano allungarsi, ma in realtà volavano via come sabbia tra le dita. Ogni ora passata con Josephine era un dono, e proprio perché sapeva che a settembre sarebbe finito tutto, ogni momento gli appariva più prezioso.

Camminando lungo il fiume o ridendo con lei nei parchi, gli sembrava quasi di vivere due vite: quella del lavoro, piena di responsabilità e sacrifici, e quella della giovinezza, fatta di leggerezza e sogni. Per la prima volta capiva che non basta impegnarsi per fermare ciò che deve andare: l’amore, le amicizie, perfino i luoghi sono destinati a cambiare.

Scrivendo a casa, raccontava solo una parte delle sue giornate: parlava del lavoro, della scuola, dei progressi col tedesco. Ma dentro di sé sapeva che il ricordo più vivo di quell’estate sarebbe stato il sorriso di Josephine e il calore di quella piccola famiglia che lo aveva accolto.

Settembre si avvicinava, e con esso l’ombra del distacco. Ma Matteo aveva imparato a non fuggire dalle esperienze: preferiva viverle fino in fondo, custodendone l’essenza. Perché, come spesso si ripeteva, ciò che rimane davvero non è la durata, ma l’intensità dei momenti vissuti.

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