
C’è un’Italia che fa i conti con il pane e la benzina, e un’altra che fa i conti solo con la prenotazione al ristorante stellato.
Due mondi paralleli che si incrociano solo al telegiornale delle 20: da una parte la famiglia che tira la cinghia per arrivare a fine mese, dall’altra il politico che commenta con aria grave: “Capisco le difficoltà dei cittadini”. Sì, le capisce talmente bene che poi, per smaltire la fatica, si concede un viaggetto “istituzionale” in business class.
La matematica dell’ipocrisia
I politici – tutti, senza esclusione di colori e bandiere – hanno inventato una nuova scienza esatta: la matematica dell’ipocrisia.
Per noi i conti non tornano mai, per loro tornano sempre. A noi spiegano che “non ci sono risorse”, a loro le risorse piovono addosso come coriandoli a Carnevale.
Ogni mese la busta paga del cittadino sembra una barzelletta: entra, saluta e subito esce. La loro invece è una sinfonia: indennità, rimborsi, benefit, pensioni anticipate.
Salario minimo, stipendi massimi
Il salario minimo è sempre in discussione: tavoli tecnici, commissioni, consultazioni, rinvii. Una telenovela senza fine.
Gli aumenti dei loro stipendi invece non hanno bisogno di sceneggiature complesse: scattano da soli, automatici, come la tassa di soggiorno d’agosto. Puntuali come la sveglia del lunedì mattina.
E mentre noi discutiamo di bollette, loro si preoccupano persino del caro parrucchiere.
Per noi 20 euro a taglio sono già un lusso, per loro persino la messa in piega finisce nei rimborsi. È il bello della vita pubblica: ci rimetti la faccia, ma almeno non paghi la piega.
I privilegi che non finiscono mai
Auto blu, voli pagati, ristoranti di lusso, viaggi istituzionali. Un elenco infinito.
E attenzione: non si tratta di privilegi occasionali, ma di un menù fisso. La differenza è che noi paghiamo il conto, loro no.
Il cittadino fa i salti mortali al supermercato: “Due etti di prosciutto, ma togli un paio di fette che sforo il budget”.
Il politico fa i salti mortali sul menù degustazione: “Non so se prendere il tartufo bianco o l’astice, forse entrambi per sicurezza”.
Il cittadino va al mare con l’ombrellone condiviso, il politico partecipa al summit sul turismo… alle Maldive.
Noi ci chiediamo come risparmiare 10 euro di carburante, loro discutono se l’auto blu debba avere il frigo per lo champagne o basti per l’acqua tonica.
I teatrini in Parlamento
E per non farsi mancare nulla, ecco il capolavoro finale: i teatrini in Parlamento.
Scene da commedia dell’arte, applausi finti, urla da stadio, risse da bar. Il tutto in diretta tv, come se avessero ancora bisogno di convincerci.
Ma cosa devono far vedere? Che lavorano?
La gente ormai lo ha capito: siamo in mano a dilettanti allo sbaraglio, attori improvvisati che recitano una parte mediocre su un palcoscenico costoso.
L’unico spettacolo a cui non ridono più gli spettatori.
La finta empatia
Quando poi il sipario si abbassa, arriva la ciliegina: la finta empatia.
“Condividiamo le difficoltà dei cittadini.”
Detto da chi non paga un biglietto del treno da anni, fa sorridere.
Detto da chi non ha mai fatto fila in posta, fa arrabbiare.
Detto da chi considera “sacrificio” rinunciare a un weekend in resort, fa venire voglia di cambiare canale.
La resa (amara)
Potrei andare avanti per giorni a elencare i loro privilegi, ma tanto la fine è sempre la stessa: noi ci rassegniamo, loro brindano.
Noi ci arrangiamo con la Panda a metano, loro con il SUV ibrido a spese pubbliche.
Noi facciamo la fila al casello, loro volano in business.
Noi compriamo pane e prosciutto, loro caviale e tartufo.
Viva l’Italia (ma quella vera)
E allora, Viva l’Italia.
Non quella che predica, ma quella che resiste.
Quella che si spacca la schiena, non quella che applaude se stessa.
Quella che fa la fila in farmacia, non quella che si rifà il lifting a spese nostre.
Quella che non si arrende, anche se non arriva a fine mese.
Perché la verità è semplice: loro hanno i pieni garantiti, noi i serbatoi vuoti.
E in questa Repubblica del pieno, l’unica benzina che ci resta è la satira.