
Quando il viaggio non haQuando il viaggio non ha approdo, e la meta è solo un miraggio
Ogni Odissea ha una fine.
Quella di Ulisse fu Itaca: la casa, la regina, il letto d’ulivo, il silenzio dopo le onde.
Un ritorno che dava senso a dieci anni di naufragi, di mostri e di bugie.
Ma la flottiglia del nostro tempo non ha Itaca.
Non perché manchino le vele, i venti o il coraggio, ma perché la meta stessa è negata.
Per Ulisse era Itaca; per loro è Gaza.
E Gaza, nel Mediterraneo di oggi, è un nome che brucia: promessa che si allontana appena ti avvicini, approdo che non diventa mai porto, parola che fa più paura delle tempeste.
Un viaggio senza fine
Abbiamo seguito la flottiglia attraverso venti ministeriali, sirene digitali, ciclopi burocratici, talk-show urlanti, magie del marketing e ospitalità interessata.
Ogni tappa ha insegnato qualcosa, ogni inganno ha rivelato la vanità degli uomini.
Eppure, nessuna di queste prove li ha mai davvero avvicinati alla meta.
Ogni volta che sembrava spuntare una costa, si rivelava un palcoscenico.
Ogni volta che appariva un porto, diventava una fiera sponsorizzata.
Ogni volta che il mare concedeva una tregua, compariva un nuovo inganno.
I naviganti hanno imparato che non basta avere la rotta se la bussola è truccata, e che nessun vento può guidarti se la tua destinazione non esiste più.
La loro non è un’Odissea per tornare, ma per restare a galla.
Il Mediterraneo, da testimone millenario, li osserva con ironia.
Sa che il loro viaggio non è verso un’isola, ma dentro una bolla: quella delle illusioni mediatiche, delle dirette, delle conferenze stampa.
La loro traversata non porta aiuti, ma attenzione; non cerca la pace, ma visibilità.
E ogni volta che il mare tace, arriva un nuovo annuncio, un nuovo hashtag, una nuova promessa di approdo.
Perché non c’è Gaza
Non c’è Gaza perché i mari di oggi non permettono approdi semplici.
Perché la politica ha sostituito le carte nautiche con i comunicati stampa, e i confini con i filtri della narrazione.
Gaza non è solo un luogo: è un simbolo proibito, una Itaca negata, un nome che pesa come una colpa e svanisce come un miraggio.
È la promessa che non si può mantenere.
È la rotta che nessuno osa completare.
È il porto che, quando lo raggiungi, si sposta più in là.
I naviganti della flottiglia — poeti, attivisti, influencer, diplomatici — lo sanno, ma non possono ammetterlo.
Perché ammettere che Gaza non c’è significherebbe confessare che il viaggio è inutile, che il mare è solo scena, che la speranza è diventata spettacolo.
E così continuano:
il Capitano parla ai venti, l’Attivista urla ai microfoni, l’Influencer sorride alle telecamere, il Diplomatico protocolla il nulla.
Ognuno recita il proprio ruolo, convinto che basti la narrazione a tenere in vita la rotta.
Il viaggio è diventato copione.
Non serve più per arrivare, ma per essere raccontato.
L’ultima risata del mare
Il mare, che da secoli conosce il teatro degli uomini, li guarda con compassione e sarcasmo.
Ha visto Fenici e Romani, crociati e pirati, Ulisse e migranti.
Ha visto le flotte partire per fede, per conquista o per fuga.
E sa che ogni epoca trova la propria illusione: ieri la gloria, oggi la diretta streaming.
Il Capitano Romantico, fissando l’orizzonte, sussurra:
“Ogni onda ci porta più vicino a Itaca.”
L’Attivista Indignata risponde urlando:
“Gaza o morte! Nessuna tempesta fermerà la verità!”
L’Influencer Idealista sorride alla fotocamera:
“Restate con noi, amici del mare! Il viaggio continua, condividete e commentate!”
Il Funzionario Diplomatico, con gesto solenne, protocolla l’ennesimo fallimento:
“Verbale di navigazione n. 7 – Esito: itinerario non concluso per cause superiori.”
E il mare ride.
Ride piano, come un vecchio che ne ha viste troppe.
Ride perché sa che l’uomo non può vivere senza illudersi, che preferisce credere di partire piuttosto che riconoscere di essere fermo.
Ride perché ha visto Itaca esistere e Gaza mancare, e capisce che la speranza — quella vera — non si trova mai nel porto, ma nell’attesa.
Conclusione
Così termina l’Odissea della Flottiglia: non con un ritorno, ma con un’assenza.
Non con un approdo, ma con un miraggio.
Non con Itaca, ma con Gaza che non c’è.
Il Mediterraneo, eterno narratore, resta lì, immobile e vivo, ad ascoltare gli uomini che parlano di pace mentre contrattano le rotte.
Sospira, ironico, e mormora tra le onde:
“Gli uomini chiamano Odissea ciò che non finisce.
E io, mare, resto l’unico approdo che hanno davvero.”
E poi tace.
Solo le onde rispondono, come applausi di un pubblico invisibile.
Perché anche le tragedie, oggi, devono essere condivise.
✍️ Pensieri Scomposti – Il Sognatore Lento