
Canti, o Musa, la nuova epopea dei mari: non quella dell’eroe che torna a Itaca, ma di una miriade di barche che cercano un approdo senza sapere dove sia. È la Flottilla Global Sumud, remake nautico dell’Odissea: stesso mare, meno sirene, più bandiere.
Sfilano le imbarcazioni, come un corteo sindacale spostato sull’acqua. Non più remi e astrolabi, ma GPS ballerini e dirette streaming a intermittenza. Ogni barca una postazione social: chi trasmette in diretta, chi scrive comunicati, chi litiga sul menù di bordo.
Ulisse impiegò vent’anni a tornare a casa, distratto da Ciclopi, Lestrigoni e maghe varie. Qui si promette di arrivare in un paio d’ore, salvo deviazioni per selfie, proclami e soste fotografiche. Il viaggio non è più fatica e destino, ma spettacolo itinerante.
I nuovi mostri marini
Gli antichi temevano Scilla e Cariddi: oggi il vero incubo è la burocrazia portuale, capace di divorare giornate intere con un timbro mal posizionato. Polifemo non c’è più, ma i suoi occhi sono diventati scanner biometrici.
Le sirene non incantano più con il canto, ma con le notifiche WhatsApp: più pericolose di mille melodie, perché fanno distrarre anche chi è al timone.
La morale del viaggio
Se l’Odissea era la fatica del ritorno, questa nuova epopea insegna altro:
- che l’epica può nascere anche con la benzina a 2 euro al litro,
- che i mari moderni non sono solcati da eroi ma da comunicati stampa,
- e che la vera Itaca non è un’isola, ma un hashtag che faccia tendenza.
L’ultimo canto
E mentre le bandiere sventolano, le barche ondeggiano e i proclami si moltiplicano, resta un retrogusto amaro. Perché tra una foto e un comunicato, tra una conferenza e un proclama, la verità è semplice e imbarazzante:
la flottiglia sembra pensare a tutto, tranne che a Gaza.
Come ogni Odissea che si rispetti, il viaggio conta più della meta. E qui la meta non è un porto, ma una copertina patinata.