
Dove una promessa scioglie gli ormeggi
➤ L’alba arrivò senza clamori: una lama chiara sul profilo dell’acqua, il molo umido di sale, il legno che, a ogni passo, restituiva un cigolio antico. Il Viaggiatore si fermò un istante prima di salire a bordo. Pose la mano sulla murata, come si saluta un amico. «Non parto per fuggire, né per conquistare» mormorò. «Parto per mantenere una promessa.»
Sul molo, poche persone; quelle di sempre, quelle che sanno riconoscere i momenti che contano.
Un uomo col cappello calato fece una smorfia: «Si parte ancora per vecchie passerelle di legno? Oggi si va dove ci sono luci, stipendi, città».
Una donna anziana, stretta nello scialle, gli rivolse un cenno: «Vai. Le promesse, se non partono, marciscono».
Un bambino si avvicinò fino alla cima ormeggiata: «Quando torni?»
«Quando il mare avrà finito di mettermi alla prova» rispose il Viaggiatore, sorridendo con gli occhi.
A bordo c’era poco, ma quel poco pesava come le cose giuste:
una bussola che pareva puntare al cuore più che al nord;
un quaderno consunto, già macchiato di sale, con frasi a mezza riga e spazi per tutto ciò che ancora non si sapeva;
una lanterna, piccola, affidabile, che prometteva luce senza pretese;
una corda nuova, intrecciata con pazienza;
e un sacchetto di pane e acqua, perché il viaggio vero comincia quando non ti mancano le mani libere.
L’equipaggio era vario come devono essere i compagni trovati più dalla necessità che dal bando:
— un ragazzo che fissava l’orizzonte con timore e meraviglia, come se guardasse un animale addormentato;
— una donna con un piccolo sacchetto di terra legato al polso («Per ricordarci da dove veniamo», spiegò, senza cercare approvazione);
— un vecchio pescatore che sapeva leggere il vento come si legge un volto amico;
— un carpentiere taciturno, mani di nodi e sguardo da chi sa sistemare ciò che si spezza;
— e una voce giovane che portava con sé un flauto, “per le sere calme”, disse arrossendo.
«Non prometto gloria» disse il Viaggiatore, quando tutti furono sul ponte. «Prometto un ritorno. E quel ritorno ha il nome di travi sospese sull’acqua.» Nessuno applaudì; nessuno ne sentiva il bisogno. Le parole giuste non chiedono eco: si adagiano dove devono.
Sciolsero la cima. Il nodo venne via con un solo gesto, pulito, come la decisione presa giorni prima, quando il Viaggiatore aveva capito che o si partiva o si perdeva per sempre la propria voce. La barca si mosse un poco, incerta, poi decise. Tra il legno e il mare ci fu un assenso che non aveva bisogno d’interpreti.
Il vento uscì dal suo nascondiglio dietro il faro e gonfiò la vela. Non troppo: quanto bastava per dire “andiamo”. L’acqua, che a quell’ora non aveva ancora litigato con nessuno, si lasciò tagliare docile, come un panno ben teso. I gabbiani disegnarono suoni nell’aria, e tutto sembrava pronto a farsi semplice. Il Viaggiatore sapeva che la semplicità è un bene raro, e non si fidò del tutto; ma la ringraziò.
«Regola prima» disse, mentre il molo diventava breve alle loro spalle. «Si parla piano. Il mare sente le voci grosse come sfide e risponde di conseguenza.»
«Regola seconda» aggiunse la donna, senza chiedere permesso. «Si condivide la luce. La lanterna sta al centro, dove tutti la vedono.»
Il vecchio pescatore, con la serietà di un battesimo, posò la lanterna nel mezzo del ponte e annodò una cima attorno alla base: «Che non scappi quando balliamo.»
Il ragazzo si offrì spontaneamente al primo turno di vedetta: «Occhi avanti, orecchie al vento» ripeté, come se lo recitasse da un manuale.
Il carpentiere toccò gli incastri dell’albero, i ferri, il fasciame. Ogni cosa rispose con un suono differente, e lui parve capirli tutti.
Il Viaggiatore prese la bussola e, per un istante, la guardò non come uno strumento ma come una domanda: dove punta davvero ciò che mi guida?
Si lasciarono alle spalle l’odore del molo: catrame, corde bagnate, caffè nelle mani dei pochi rimasti. Davanti, orizzonte. E dentro, l’immagine che da anni teneva in tasca come una medaglia: i trabocchi sporgenti sul mare, travi tese come braccia, reti calate come preghiere. Non un trofeo, non un sigillo di potere: una fedeltà.
Il nonno del Viaggiatore — lo ricordò all’improvviso — quando lui era bambino diceva sempre: «Il mare è maestro, non padrone. Se lo ascolti, ti insegna a tornare; se lo sfidi, ti ricorda che sei ospite». Con quella frase in mente, regolò un poco la vela. Il vecchio pescatore annuì appena: il rispetto non fa rumore.
Si tracciarono mansioni senza farne un dramma:
chi alla randa, chi ai parabordi, chi alla cambusa per tenere asciutto ciò che asciutto deve restare.
Niente gerarchie rigide; solo ruoli riconosciuti al primo sguardo. Il viaggio, quando è fatto bene, somiglia a una conversazione tra persone che non vogliono vincere ma capirsi.
«Segno l’ora» disse il ragazzo, sollevando gli occhi. «Prima di colazione: un quarto dopo il sole.»
«Segna anche questo» rispose la donna. Aprì il sacchetto, ne prese un pizzico di terra e lo sfregò tra pollice e indice. «Ogni tanto ricordatelo. Navigare non serve se non sai dove scenderai a bagnarti i piedi».
Il Viaggiatore scrisse due righe nel quaderno: Siamo in mare. Il molo si è fatto piccolo ma non è sparito. Lo porto con me dove porto la bussola. Poi chiuse il quaderno con delicatezza, come si chiude la porta di casa quando si esce di mattina presto per non svegliare nessuno.
La luce cresceva. Il colore dell’acqua cambiava ogni dieci respiri: blu sottile vicino alla prua, più scuro dove il fondale faceva un gradino, una vena verde dove passava una corrente obliqua. Il vecchio glielo indicò col mento: «Vedi quella riga? Se la prendi di traverso ti fa perdere un palmo, se la prendi dritta ti regala strada».
Il Viaggiatore obbedì all’acqua, non all’orgoglio. La barca ringraziò con un piccolo scatto.
Qualcuno, a prua, cantò due note senza parole: non era una canzone, era un sì. Il flauto, più tardi, aggiunse una melodia bassa, quasi un filo; bastò a dare alla nave la sensazione di avere un cuore che batte.
Per un attimo, prima che il sole salisse troppo, parvero comparire sagome scure lontanissime, come dita orizzontali sul mare. Il ragazzo trattenne il fiato: «Trabocchi?»
«Non ancora» disse il vecchio, con la dolcezza di chi non vuole ferire. «A quest’ora il mondo fa scherzi con la luce.»
Il Viaggiatore non s’illuse, e però non rinunciò allo slancio che quella illusione gli aveva messo nel petto. Ci sono miraggi che non ti ingannano: ti ricordano perché sei in cammino.
Dopo un po’ il molo scomparve davvero. Non più un puntino, non più un’ombra; acqua soltanto. «È adesso che comincia» disse piano il Viaggiatore, senza rivolgersi a nessuno in particolare. La donna legò il sacchetto di terra a un cavicchio del ponte, perché non saltasse via alla prima onda più decisa. Il carpentiere fissò una doga capricciosa: due colpi misurati e stava al suo posto.
«Facciamo patte» propose il vecchio. «Quando verrà la nebbia, parleremo poco. Quando arriverà il vento, faremo vela piccola prima di litigare. Se vedremo una luce, la guarderemo due volte. E quando uno ha paura, lo dice.»
«Lo dice» ripeté il ragazzo, quasi fosse un giuramento.
«Lo dice» concluse il Viaggiatore, poggiando la mano sulla lanterna al centro del ponte. «E chi passa vicino a questa luce ha il dovere di aggiungerle un dito d’olio.»
La barca prese ritmo. Non c’era ancora lotta; c’era allenamento. Il mare li accoglieva come un campo prima della gara: ti lascia provare i passi, ti ascolta, ti studia. Il Viaggiatore sentì che stava imparando il peso di ogni comando: un grado di timone può essere nulla o destino.
Sull’acqua comparvero i primi segni di cambiamento: un velo sottile, quasi un respiro; non era ancora nebbia, era la sua intenzione. L’aria aveva odore di ferro lontano. Il vecchio pescatore, senza dramma, chiuse il suo coltellino e disse: «Verso mezzogiorno potrebbe venire a farci visita».
«La aspetteremo senza fretta» rispose il Viaggiatore. «La fretta è sempre la prima sirena.»
Prima di chiudere l’ora del mattino, il Viaggiatore tornò col pensiero là dove stava andando. Vide, dentro di sé, travi che scricchiolano al sole, reti che colano acqua e luce, mani che tirano e allentano, voci che insegnano senza gridare. Non una reggia, non una piazza di applausi. Un ponte. Il suo ponte.
«Andiamo» disse infine, ma lo disse al mare, non agli uomini.
La barca rispose con una lieve torsione, come fanno i cavalli quando capiscono il cavaliere. E in quel gesto ci fu l’inizio vero della partenza: non lo stacco dal molo, ma l’accordo tra volontà e rotta.
Il sole salì; le ombre si accorciarono; l’orizzonte smise di tremare.
Dietro di loro, il molo era ormai una memoria in tasca.
Davanti, una strada liquida che chiedeva pazienza.
Il Viaggiatore guardò una volta ancora la bussola, poi la chiuse nel palmo. «Ci vediamo dopo» le disse, come a una compagna che non ha bisogno di gelosia. Alzò il mento, prese il vento di un mezzo punto, lasciò che la vela si tendesse. Fu allora che una vela lontana, irreale, sembrò salutare. O forse era un gabbiano troppo convinto di essere segno.
Comunque sia, la partenza era compiuta.
Il mare aveva accettato l’offerta.
Le prove — nebbia, dubbi, promesse travestite — attendevano più avanti.
Ma la barca, adesso, camminava con il suo passo.
E se qualcuno, in quel momento, avesse chiesto al Viaggiatore dove stessero andando, lui avrebbe risposto senza esitare:
«Verso legno che non cede, verso reti che insegnano la pazienza, verso un nome che sa di casa: la Costa dei Trabocchi.»

