La politica gioca a Risiko, i malati a Chieti aspettano la chemio

“Mentre i politici giocano a Risiko sul Medio Oriente, a Chieti i malati aspettano la chemio. Priorità all’italiana.”

Mentre i riflettori guardano a Gaza, in Abruzzo pazienti oncologici vengono rimandati a casa per mancanza di farmaci

C’è un Paese che ama definirsi “culla della civiltà”, “terra della cultura” e “centro del Mediterraneo”. Un Paese che si commuove in Parlamento parlando di crisi lontane, che si divide in fazioni per Gaza, Ucraina o Taiwan, che si strappa i capelli nei talk show per stabilire chi ha la posizione più nobile sul conflitto del giorno. Quel Paese è l’Italia.

Peccato che, mentre la politica fa le prove di oratoria internazionale, a Chieti — non in un deserto mediorientale, ma in un ospedale abruzzese, a due passi dalla Maiella — ci siano malati oncologici rimandati a casa perché manca il farmaco necessario per la chemioterapia.


La grande assenza: non il farmaco, ma la politica

Perché questo è il punto: non manca solo la medicina, manca la politica. Quella con la P maiuscola, capace di guardare al cittadino e non al palcoscenico. Siamo maestri nel dibattere di diritti universali davanti alle telecamere, ma poi ci perdiamo in una banalissima catena di approvvigionamento: un ordine saltato, un budget troppo stretto, una programmazione “distratta”.

Il risultato? Una persona che si era preparata mentalmente per il suo ciclo di chemioterapia riceve una telefonata: “Non si può fare, il farmaco non è arrivato”. Altro che politica estera: questa è politica interna, e pure fatta male.


Gaza, Kyiv, Taipei… ma Chieti?

Ogni giorno i notiziari ci spiegano le mosse del conflitto a Gaza: chi avanza, chi arretra, chi bombarda, chi reagisce. Ogni leader italiano ha qualcosa da dire: dichiarazioni accorate, appelli, conferenze stampa, post indignati sui social.

Ma chi parla di Chieti? Chi va davanti alle telecamere a spiegare perché in un ospedale italiano del 2025 un malato di tumore possa sentirsi dire che non si può curare per “mancanza di scorte”? Nessuno. Perché Gaza fa scena, Chieti no. Gaza porta visibilità internazionale, Chieti solo qualche voto perso.


La retorica del “ritardo”

Davanti alle denunce, la ASL spiega che non c’è stata “interruzione delle cure”, ma solo “un ritardo nell’approvvigionamento” dovuto a un “improvviso aumento della domanda”. Parole precise, calibrate, rassicuranti.

Come se un paziente oncologico, quando sente “ritardo”, potesse brindare e dire: “Allora va bene, ci rivediamo più avanti”.

La politica, si sa, ama i sinonimi: non mancano i farmaci, c’è solo “un rallentamento”. Non ci sono tagli, ci sono “rimodulazioni”. Non si rimandano a casa i pazienti, si “ricalendarizzano le prestazioni”. È la neolingua della burocrazia, capace di trasformare un dramma in una postilla di bilancio.


Il grande teatro della politica

In compenso, nei palazzi romani va in scena il solito spettacolo: interpellanze urgenti su Gaza, conferenze stampa improvvisate, dibattiti televisivi sulla pace nel mondo. Sembra di assistere a un gigantesco Risiko, con i nostri politici intenti a spostare carri armati e bandierine su mappe lontane.

Nel frattempo, in Abruzzo, il Risiko lo gioca il destino: una pedina cade sul letto di un malato, e la mossa decisiva la fa un magazzino farmaceutico che non ha ordinato abbastanza.


Il cortocircuito delle priorità

È un cortocircuito tutto italiano: discutere di geopolitica mentre non si è capaci di garantire la chemioterapia. Parlare di dignità dei popoli oppressi e dimenticare la dignità dei cittadini che hanno diritto a una cura puntuale. Commuoversi per i bambini sotto le bombe e non accorgersi delle lacrime di chi torna a casa dall’ospedale senza terapia.

Non è cinismo, è realtà. E la realtà non ha la regia di un talk show, non ha la musica di sottofondo, non offre like facili. È fatta di sedute saltate, di paure amplificate, di fiducia tradita.


Una classe politica allergica alla concretezza

La verità è che la politica italiana è allergica alla concretezza. Ama i grandi discorsi, ma detesta i piccoli problemi. Gaza è lontana e quindi sicura: ci si può dividere in schieramenti, accusarsi a vicenda, fare comunicati stampa, senza mai rischiare di dover portare davvero un farmaco in corsia.

Chieti invece è vicina, troppo vicina. È lì che il cittadino incontra la politica senza filtri, dove non bastano le dichiarazioni ma servono soluzioni. E lì la politica arretra, imbarazzata, preferendo rifugiarsi dietro un “non è competenza mia” o un “la Regione deve chiarire”.


Un paradosso tutto italiano

Così, mentre gli editorialisti ci spiegano come salvare il Medio Oriente, i cittadini abruzzesi scoprono che non c’è un piano per salvaguardare neppure il proprio ciclo di terapia. È il paradosso di un Paese che ama presentarsi come grande attore internazionale, ma che inciampa sulle basi elementari della sanità pubblica.

Un Paese che invoca l’ONU, la NATO, l’Europa, ma non riesce a garantire un armadio pieno di farmaci in ospedale. Un Paese che si indigna per i diritti calpestati oltre confine, ma che considera “accettabile” il rinvio di una chemioterapia dietro casa.


Conclusione: la politica che non c’è

La politica dovrebbe essere la capacità di scegliere le priorità. In Italia, invece, è diventata l’arte di spostare l’attenzione.

Perché è più comodo parlare di Gaza che di Chieti. È più nobile discutere di confini lontani che di un corridoio ospedaliero. È più facile fare il ministro degli Esteri che il ministro dei Farmaci Che Mancano.

Eppure la credibilità di una classe dirigente non si misura dai discorsi alle Nazioni Unite, ma dalla puntualità con cui un paziente riceve la sua cura.

Forse un giorno i nostri parlamentari, tra un convegno sulla pace e un appello per Gaza, troveranno il tempo di ricordarsi che la vera guerra si combatte anche qui, nelle stanze degli ospedali italiani. E che in quella guerra, i malati hanno bisogno di armi semplici: i farmaci, non i comunicati stampa.