
Camion pieni di pane e cemento che dovrebbero costruire scuole e ospedali, ma che troppo spesso diventano tunnel e arsenali.
E intanto le famiglie restano sempre a mani vuote.”
Ogni volta che si parla di Gaza, la domanda torna puntuale: dove sono finiti tutti i soldi degli aiuti internazionali?
Perché da decenni il mondo manda miliardi, ma la popolazione continua a vivere tra macerie, blackout, ospedali al collasso e disoccupazione.
Gli aiuti internazionali in cifre
Dal 1994, con gli Accordi di Oslo, i palestinesi hanno ricevuto oltre 40 miliardi di dollari in aiuti internazionali.
I principali donatori sono:
- Nazioni Unite (UNRWA), che finanzia scuole, ospedali e assistenza diretta a milioni di profughi palestinesi;
- Unione Europea, con fondi per stipendi pubblici e progetti infrastrutturali;
- Stati Uniti, storicamente tra i maggiori contributori (anche se con tagli in alcune fasi politiche);
- Paesi arabi come Qatar e Arabia Saudita, che hanno spesso fornito denaro liquido e combustibili.
Non parliamo, quindi, di briciole: Gaza è una delle aree al mondo che ha ricevuto più fondi pro capite negli ultimi trent’anni.
Come sono stati usati
In parte, questi aiuti hanno sostenuto davvero i servizi essenziali:
- stipendi a decine di migliaia di dipendenti pubblici;
- scuole e ospedali dell’UNRWA;
- programmi alimentari e di assistenza sanitaria.
Ma la cronaca internazionale racconta anche un’altra realtà: sprechi, corruzione e deviazioni.
In particolare a Gaza, dove dal 2007 governa Hamas, una parte significativa dei fondi è stata utilizzata non per ricostruire case o ospedali, ma per finanziare l’apparato militare.
Il “modello Hamas”
Con quei soldi si sono scavati chilometri di tunnel sotterranei, vere e proprie città parallele sotto la sabbia, usate per nascondere miliziani e armi, o per lanciare attacchi contro Israele.
Materiali destinati a progetti civili – cemento, tubi, carburante – sono stati deviati verso la costruzione di bunker e razzi.
Il risultato: scuole rimaste a metà, ospedali senza manutenzione, interi quartieri ancora in macerie dopo le guerre degli anni passati.
Mentre il vertice di Hamas vive relativamente protetto, la popolazione resta senza servizi essenziali.
Il peso del blocco
C’è però un altro elemento che non si può ignorare. Dal 2007 Israele, con la collaborazione dell’Egitto, impone un blocco su Gaza: controlli severissimi su merci, materiali da costruzione, carburanti e movimenti di persone.
Israele giustifica il blocco con la necessità di impedire il rafforzamento militare di Hamas.
Ma l’effetto collaterale è che anche materiali “civili” – come cemento o pezzi di ricambio elettrici – diventano difficilissimi da importare.
👉 Risultato: anche quando arrivano fondi, non c’è libertà di spenderli per sviluppo economico, e la popolazione resta dipendente dagli aiuti di base.
Chi paga il prezzo
Alla fine, chi paga il prezzo di questo doppio gioco – Hamas che dirotta i fondi e Israele che blocca le risorse – è sempre la stessa figura: il cittadino comune.
Alcuni dati:
- disoccupazione giovanile oltre il 40%,
- elettricità disponibile solo poche ore al giorno,
- ospedali sovraccarichi e spesso privi di forniture,
- economia quasi inesistente, basata sugli aiuti.
Le famiglie vivono con pacchi alimentari e sussidi, mentre i miliardi scorrono come sabbia tra le mani.
Satira civile: pane che diventa dinamite
E qui la satira nasce da sola.
Gli aiuti a Gaza sembrano a volte una commedia tragica:
- pacchi di pane che si trasformano in dinamite,
- sacchi di cemento destinati a scuole che finiscono nei tunnel,
- dollari che scavano sottoterra invece di costruire sopra.
È come se la comunità internazionale avesse ordinato ospedali e fosse arrivata una base militare in più.
La farsa è che nessuno finge neppure sorpresa: da anni si sa, ma la giostra continua.
La popolazione dimenticata
Tra le due forze contrapposte – Hamas e Israele – resta la gente comune, schiacciata.
Per loro, gli aiuti sono spesso l’unico ossigeno: cibo, medicine, stipendi minimi.
Ma la prospettiva è sempre la stessa: vivere senza futuro, dipendenti da fondi che arrivano dall’estero, senza un’economia propria, senza possibilità di emancipazione.
I giovani crescono con una sola alternativa: emigrare, o finire risucchiati dalla spirale della radicalizzazione.
Conclusione
Gaza non è povera di aiuti. Gaza è povera di scelte giuste.
I miliardi non mancano, ma sono stati usati male o bloccati da chi teme che diventino armi.
Se fossero stati investiti davvero in scuole, imprese, ospedali, oggi parleremmo di una società diversa.
Invece la popolazione paga due volte: prima perché gli aiuti non migliorano la vita quotidiana, poi perché finiscono per alimentare un conflitto che ricade sulle loro teste.
👉 La lezione è semplice e amara: gli aiuti non bastano se non c’è responsabilità politica e visione. Senza questo, resteranno sempre benzina per un conflitto senza fine.
✍️ Il Sognatore Lento