Gaza, la scuola e il “contraddittorio”: la ragione sta a metà

Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli Venezia Giulia, ha detto che i docenti non possono parlare di Gaza “senza contraddittorio”. Le sue parole hanno fatto rumore, e le reazioni non si sono fatte attendere.

👉 Ma chi ha ragione? Forse la verità sta a metà.


Quando Fedriga ha ragione

Se un insegnante trasforma la classe in un pulpito personale, sbaglia. La scuola non è il luogo dove imporre idee, ma dove formare cittadini liberi. Nessuno studente deve subire monologhi ideologici spacciati per verità assolute.

È vero che esiste il rischio, in alcune situazioni, che la passione personale di un docente prenda il sopravvento sul metodo. È capitato – e capita – che un insegnante racconti la storia o la cronaca piegandola a una visione di parte. In questi casi gli studenti non imparano a ragionare: imparano a ripetere.

Se questo è ciò che Fedriga intendeva, allora il suo richiamo non è del tutto sbagliato. Una scuola che diventa “megafono” politico smette di essere scuola.


Dove invece sbaglia

Il problema nasce quando si immagina il “contraddittorio obbligatorio” come rimedio universale. La scuola non è un talk show, non funziona a colpi di botta e risposta.

Vorremmo davvero che, parlando della Seconda Guerra Mondiale, un docente fosse obbligato a presentare anche il “punto di vista” di Hitler per bilanciare Churchill? Sarebbe assurdo.

Vorremmo davvero che, spiegando la Shoah, ci fosse l’ora di “contraddittorio” con chi la nega? È un paradosso.

Il rischio è trasformare la scuola in un’arena di tifoserie, dove ogni lezione deve essere compensata dall’opposto ideologico, come se la verità fosse sempre nel mezzo. Ma ci sono casi in cui la verità storica è netta, documentata, innegabile.


La vera scuola

Il contraddittorio esiste già, ma non come lo immagina la politica. Non è fatto di comizi o di equilibri numerici, ma di metodo.

Un insegnante serio:

  • mostra più fonti,
  • distingue fatti e opinioni,
  • stimola domande e critica,
  • educa al dubbio e non alla fede cieca,
  • insegna a pensare e non a ripetere.

👉 Questo è il cuore dell’educazione. Non servono diktat dall’alto, ma fiducia nel lavoro serio di chi insegna.


Una questione di metodo, non di censura

La nostra Costituzione tutela la libertà di insegnamento (art. 33), ma questo non significa anarchia in cattedra. Significa che l’insegnante ha il compito di trasmettere saperi e strumenti, non slogan.

Chi insegna storia deve:

  • raccontare i fatti documentati,
  • far leggere le fonti,
  • mostrare le interpretazioni,
  • guidare gli studenti a costruirsi un’opinione.

Chi insegna diritto deve:

  • far discutere sulla convivenza civile,
  • affrontare i diritti umani,
  • analizzare le contraddizioni della politica.

Se invece si imbocca la strada della censura, si ottiene l’effetto opposto: gli insegnanti smettono di parlare dei temi scomodi per paura di essere accusati, e gli studenti rimangono prigionieri di ciò che trovano sui social, senza alcun filtro critico.


Perché proprio Gaza fa discutere

Il conflitto israelo-palestinese è uno dei temi più complessi e divisivi del nostro tempo. Tocca storia, religione, politica internazionale, diritti umani. È inevitabile che porti con sé passioni e contrasti.

Gli studenti non arrivano a scuola come fogli bianchi: sono già esposti a immagini, post, video, commenti polarizzati.

👉 Non parlarne significherebbe abbandonarli alla propaganda.

Il compito della scuola non è “proteggere” dal conflitto, ma insegnare a leggerlo: capire le radici storiche, distinguere propaganda e informazione, riconoscere la sofferenza umana al di là delle bandiere.


Satira civile: la scuola talk show

E qui la satira si scrive da sola. Se davvero passasse l’idea del “contraddittorio obbligatorio”, le nostre classi si trasformerebbero in studi televisivi:

  • Lezione di storia moderna: oggi Churchill contro Hitler, con applausi a comando.
  • Educazione civica: mezz’ora di diritti umani, mezz’ora di negazionismo, per “par condicio”.
  • Letteratura: Dante promosso, ma con contraddittorio di Farinata degli Uberti.

👉 Un paradosso che smonta da solo l’argomento. La scuola non deve replicare il teatrino politico, deve fare il suo mestiere: formare al pensiero critico.


Insegnanti e passione

C’è un ultimo punto che non va dimenticato: la scuola funziona se chi insegna lo fa per passione, non solo per il posto fisso.

Un insegnante che crede nel suo lavoro sa bene che non deve indottrinare, ma accendere domande. Sa che il vero successo non è avere studenti che ripetono, ma studenti che dubitano, che chiedono, che discutono.

Ed è questo che fa paura: cittadini che pensano con la propria testa.


Conclusione

In conclusione, la ragione sta davvero a metà. Fedriga ha ragione a dire che la scuola non deve fare propaganda. Ma sbaglia a immaginare che la soluzione sia un contraddittorio imposto dall’alto, come se la conoscenza fosse una gara tra tifoserie.

👉 La scuola non deve censurarsi, ma deve fare ciò che sa fare meglio: educare al pensiero critico, con metodo, pluralismo e passione.

Perché la cultura, prima ancora che trasmissione di nozioni, è business dell’anima, non del portafoglio.

✍️ Il Sognatore Lento