
Una volta si partiva per ideali, per cambiare il mondo. Oggi si parte con lo smartphone carico e la connessione satellitare. Perché la rivoluzione senza diretta Instagram non vale più nulla.
📱 Dal coraggio al palinsesto
Il mondo è diventato un grande palcoscenico. Anche le tragedie si consumano sotto i riflettori dei social.
La flottiglia per Gaza?
Un gesto umanitario, certo. Ma anche un flusso di stories, dirette e notifiche. Senza pubblico, la solidarietà non fa audience.
Secondo un rapporto del Reuters Institute, oltre il 70% dei giovani europei si informa soprattutto attraverso video brevi sui social. Se non va in diretta, non esiste.
Tra droni e bombe, qualcuno trova comunque il tempo di ricaricare il powerbank: “Scusate, mi cade la linea mentre denuncio i crimini di guerra.”
🎭 L’eroismo social
Oggi l’eroe non è chi resiste, ma chi accumula più visualizzazioni.
Un tempo c’erano le medaglie, ora ci sono i follower.
Chi sopravvive racconta, chi racconta guadagna visibilità, chi ha visibilità diventa “influencer del dolore”.
Basta guardare i titoli: spesso non si parla del fatto in sé, ma del video che lo racconta. La realtà è secondaria, lo share è la notizia.
🤳 Like al posto della storia
Non rischiamo più la vita per cambiare le cose, ma per cambiare algoritmo.
Ogni selfie con il mare in tempesta, ogni giubbotto salvagente in primo piano, ogni sirena di allarme diventa contenuto.
Non importa se torni a casa. L’importante è che resti la traccia digitale.
🧩 Una domanda scomoda
La solidarietà è ancora reale, o è solo la sceneggiatura perfetta per un pubblico in cerca di emozioni forti?
Se un gesto vale solo quando è postato, allora non è più un gesto. È marketing.
E i social lo sanno bene: trasformano indignazione e tragedie in carburante per l’engagement, moltiplicando clic, reazioni, interazioni.
🔹 Amen digitale
Rischiare la vita per un’idea è coraggio.
Rischiarla per un post virale è pubblicità.
E il confine tra le due cose, oggi, è sempre più sottile.
Amen.