
Luglio 1946.
Il processo era iniziato da otto mesi e aveva attraversato montagne di documenti, ore di testimonianze, filmati insopportabili. Ora, nell’aula 600 del Palazzo di Giustizia di Norimberga, era il momento delle conclusioni. Le potenze vincitrici – Stati Uniti, Regno Unito, Unione Sovietica e Francia – presero la parola una dopo l’altra. Le arringhe dell’accusa non erano solo riassunti: erano atti politici e morali che avrebbero tracciato il solco della giustizia internazionale.
Robert H. Jackson – La voce dell’America

Il procuratore capo americano, Robert H. Jackson, tornò al banco con la stessa fermezza del 20 novembre, quando aveva inaugurato il processo. La sua arringa finale fu un discorso vibrante, lucido, teso a un obiettivo preciso: dimostrare che non si trattava di vendetta, ma di legge.
“I crimini che abbiamo documentato non sono contro una singola nazione, ma contro l’umanità intera. Se questi uomini non sono colpevoli, nessuno lo è.”
Jackson descrisse con chiarezza i quattro capi d’imputazione, ricollegandoli alle prove emerse. Accusò Göring e gli altri di aver costruito scientemente una macchina di aggressione e sterminio. Ma soprattutto, lanciò un monito per il futuro: se la comunità internazionale non avesse dato seguito a questo processo, le guerre avrebbero continuato a ripetersi.
Hartley Shawcross – Il pragmatismo britannico

Il procuratore britannico Hartley Shawcross adottò uno stile diverso: meno enfatico, più giuridico. Con tono pacato, presentò la mole di prove raccolte contro ciascun imputato.
“Non giudichiamo idee astratte, ma uomini in carne e ossa, che con i loro atti hanno trasformato l’Europa in un cimitero.”
Il suo discorso impressionò per la logica ferrea: mostrò come ogni imputato avesse avuto un ruolo concreto, smontando le difese costruite attorno all’obbedienza cieca o alla presunta ignoranza.
François de Menthon e Auguste Champetier de Ribes – La Francia divisa ma unita

François de Menthon parla al Tribunale a nome della Francia durante il processo di Norimberga per crimini di guerra. Donatore: Robert Jackson.
La delegazione francese fu segnata da un avvicendamento: François de Menthon, procuratore iniziale, venne sostituito da Auguste Champetier de Ribes. Entrambi, però, portarono in aula la voce di un Paese devastato dall’occupazione.
Le loro arringhe furono più morali che tecniche: insistettero sull’orrore della deportazione, sui massacri in Francia, sul tradimento di ogni principio di civiltà.
“Non è solo la Francia a chiedere giustizia, ma tutte le nazioni che hanno visto i loro figli marcire nei campi.”
Roman Rudenko – La durezza sovietica

Il procuratore sovietico Roman Rudenko parlò con voce dura, quasi militare. La sua arringa fu lunga e implacabile. Si concentrò sui crimini di guerra commessi sul fronte orientale: le stragi di civili, la fame usata come arma, l’assedio di Leningrado, la distruzione di villaggi interi.
“La storia ricorderà che intere città furono cancellate non da un terremoto, ma dalla pianificazione fredda di questi uomini.”
I giudici ascoltavano in silenzio. Molti giornalisti notarono che, dietro il linguaggio retorico, emergeva un dolore autentico: l’Unione Sovietica aveva pagato un prezzo altissimo in vite umane.
L’aula 600 come specchio del mondo
Durante le arringhe finali, l’aula era gremita come nei primi giorni. Giornalisti, diplomatici, osservatori neutrali: tutti annotavano parole destinate a restare nella storia.
Le arringhe non erano solo giuridiche: erano il tentativo di dare un senso a ciò che era accaduto. La giustizia parlava non solo agli imputati, ma alle generazioni future.
Le reazioni degli imputati
- Göring ascoltava con un sorriso ironico, convinto che sarebbe riuscito comunque a lasciare un segno nella storia.
- Ribbentrop appariva rigido, ostinato nel negare responsabilità.
- Keitel e Jodl tenevano lo sguardo basso, come soldati ormai sconfitti.
- Speer prendeva appunti, come se preparasse già la sua ultima dichiarazione.
- Streicher si agitava, incapace di contenersi.
L’aula diventava uno specchio delle diverse anime del Reich, ormai ridotto a imputato collettivo.
Conclusione
Con le arringhe finali, l’accusa pose le fondamenta della sentenza che sarebbe arrivata in autunno. Ma soprattutto fissò un principio nuovo: che esistono crimini così gravi da non poter restare impuniti, a prescindere da confini, ordini o governi.
Norimberga non fu solo un processo al passato. Fu un avvertimento al futuro: la giustizia può nascere anche dalle rovine, purché il mondo trovi il coraggio di ascoltare la verità.
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