Montanari, Gaza e la retorica del paragone facile

Montanari è uno storico dell’arte, ma quando scrive di Gaza dimentica la storia e pure l’arte.
Paragonare Netanyahu a Hitler non è analisi, è propaganda. La Shoah non è un jolly retorico, e chi la usa a sproposito più che storico sembra un ignorante con la penna in mano.

Ed è proprio qui il nodo: c’è una categoria di intellettuali italiani che, appena varcano il confine del proprio mestiere, si trasformano in predicatori. Con un linguaggio enfatico, carico di metafore e iperboli, si ergono a giudici della storia e della politica mondiale. Ma senza strumenti, senza rigore, senza misura.

Il paragone con Hitler è il più abusato: funziona sempre perché evoca il male assoluto, toglie spazio a qualunque sfumatura, trasforma un conflitto complesso in una partita di buoni contro mostri. Ma il risultato non è chiarimento: è distorsione. Se tutto diventa Shoah, niente lo è più.

Sul caso di Gaza, la realtà è terribile e sanguinosa: bombardamenti, vittime civili, responsabilità gravi di Israele, crimini di Hamas, impotenza internazionale. Tutto questo merita analisi serie, strumenti di diritto internazionale, linguaggio preciso. Invece si preferisce il grido: genocidio!, nuova Shoah!, soluzione finale! – espressioni che scaldano platee e fanno titoli, ma che finiscono per banalizzare proprio ciò che dovrebbero evocare.

La Shoah è stata lo sterminio industriale e sistematico degli ebrei d’Europa, pianificato con l’intento esplicito di cancellarli dalla faccia della terra. Paragonare questo a una guerra, per quanto atroce, è un insulto alla memoria, oltre che una manipolazione politica.

E l’Europa? Invece di pretendere parole precise, applaude o tace. I governi si schierano a seconda della convenienza geopolitica, mentre la società civile viene trascinata dentro un linguaggio tossico. Chi dissente viene bollato come “complice” di genocidio, chi si indigna diventa “eroe morale”.

Gli intellettuali dovrebbero aiutare a capire, non a confondere. Invece, troppo spesso, preferiscono la scorciatoia della retorica. Montanari non è il solo: è il simbolo di una cultura che usa la storia non per spiegare, ma per colpire.

La verità è che Gaza ha bisogno di analisi lucide, non di paragoni a effetto. Ha bisogno di giuristi, storici veri, diplomatici coraggiosi, non di radical chic che gridano “Hitler!” a ogni conferenza.
Perché il dolore dei palestinesi e la sicurezza degli israeliani non sono un palco su cui esibire indignazione. Sono la vita e la morte di milioni di persone.

E questo, più che gridare “genocidio” a vanvera, dovrebbe farci tremare la penna.