Abbiamo distrutto tutto, paralizziamo l’Italia! Italia come Gaza

Non è fantasia, è realtà che fa riflettere.
In uno sciopero pensato per Gaza, le conseguenze possono colpire persino i più fragili, come i pazienti oncologici in day hospital.
La satira serve a ricordarci che i più deboli non dovrebbero mai essere usati come strumento di protesta.

Lo slogan estremo che scuote le piazze, ma che rischia di trasformare la protesta in un boomerang contro i cittadini.

Il diritto di sciopero è sacrosanto, nessuno lo mette in discussione. È la spina dorsale della democrazia, l’arma ultima dei lavoratori quando ogni tavolo di trattativa si chiude senza risposte. Ma proprio perché è un diritto così importante, il modo in cui lo si esercita non è un dettaglio: è la differenza tra dare forza a una causa o svuotarla dall’interno.

Il 3 ottobre 2025 passerà alla cronaca non tanto per le ragioni di fondo – la solidarietà con la missione umanitaria bloccata a 80 miglia da Gaza – ma per lo scontro simbolico e mediatico attorno allo sciopero generale indetto da CGIL e UIL. Uno sciopero dichiarato illegittimo dalla Commissione di garanzia per mancanza di preavviso, eppure confermato dai sindacati con un ricorso che sarà discusso solo a giochi fatti.

In piazza, nelle manifestazioni e sui social, ha preso corpo lo slogan più estremo: «Abbiamo distrutto tutto, paralizziamo l’Italia! Italia come Gaza». Una frase che, al netto della retorica, fotografa il paradosso: per denunciare un blocco militare a migliaia di chilometri di distanza, si è scelto di bloccare il Paese, colpendo milioni di cittadini che nulla hanno a che vedere con Gaza.

Lo strappo con l’opinione pubblica

Molti italiani oggi si sono ritrovati senza treni, senza scuole, con ospedali rallentati. In diversi ospedali italiani lo sciopero ha comportato il rinvio di visite e terapie, persino per pazienti oncologici in day hospital. Non solo visite saltate o interventi rinviati: è il punto più delicato, perché trasforma il disagio in ferita, e il diritto alla cura non dovrebbe mai diventare merce di scambio.

La rabbia è esplosa, non tanto contro Israele o contro il governo, quanto contro i sindacati promotori. Il rischio è evidente: trasformare una causa che poteva unire in una frattura interna, alimentando divisione invece che solidarietà.

La debolezza delle regole

A pesare, c’è anche l’impotenza delle istituzioni. L’Autorità di garanzia ha dichiarato illegittima la protesta, ma non ha potuto impedirla davvero. Le sanzioni arriveranno forse dopo, quando lo sciopero sarà già archiviato. Di fatto, un vuoto che rende l’Italia un Paese in cui le regole esistono, ma non sempre valgono quando servono.

Una lezione da non sprecare

Il messaggio che resta è amaro: una battaglia giusta può perdere credibilità se il mezzo appare sproporzionato. Gaza merita attenzione, sostegno, pressione diplomatica. Ma paralizzare l’Italia e rimandare a casa persino i malati oncologici non porterà di un metro più vicino il carico umanitario fermato in mare. Rischia piuttosto di spingere tanti cittadini a girare le spalle non solo allo sciopero, ma alla causa stessa.

La forza delle parole e delle piazze è grande. Ma se diventano slogan estremi, rischiano di fare rumore senza cambiare nulla.