
Negli ultimi giorni, l’intercettazione della Global Sumud Flotilla diretta verso Gaza ha acceso un nuovo scontro di versioni. Secondo Israele, sulle navi fermate non sarebbe stato trovato alcun aiuto umanitario; per gli organizzatori, invece, gli aiuti erano presenti eccome, sotto forma di alimenti e medicinali caricati nei porti italiani.
La versione di Israele
L’ambasciatore israeliano in Italia, Jonathan Peled, ha dichiarato che “sulle imbarcazioni sequestrate non è stato trovato alcun aiuto alimentare”. Le autorità militari israeliane sostengono che le navi trasportassero soltanto attivisti e materiale propagandistico, e non beni di prima necessità.
Secondo il Jerusalem Post, dopo il sequestro le imbarcazioni sarebbero state ispezionate senza che emergesse la presenza di casse di viveri o medicinali. Per Israele, dunque, la flottiglia avrebbe avuto più un obiettivo politico e simbolico che umanitario.
La replica degli organizzatori
Gli attivisti della flottiglia smentiscono con forza queste affermazioni. A loro dire, le barche erano partite dai porti italiani con scatole di cibo e medicinali destinati alla popolazione di Gaza, assediata da mesi. “Non era una provocazione – ribadiscono – ma un gesto concreto di solidarietà verso chi vive senza accesso agli aiuti di base.”
Le reazioni internazionali
Organizzazioni come Amnesty International hanno condannato l’intercettazione, denunciando che Israele continua a “impedire deliberatamente l’arrivo di aiuti essenziali ai palestinesi”. Anche le Nazioni Unite hanno espresso preoccupazione, ricordando che il blocco di Gaza è da anni una questione umanitaria di primo piano.
Oltre la cronaca: lo scontro politico
Tra accuse e smentite, resta una domanda di fondo: la flottiglia era davvero un canale concreto per portare aiuti, o piuttosto un atto simbolico di protesta?
Da una parte Israele nega la presenza di viveri, dall’altra gli organizzatori rivendicano l’intento umanitario. La verità resta difficile da accertare, ma ciò che emerge con chiarezza è la dimensione politica di tutta la vicenda.
E allora, di cosa stiamo parlando se non di strumentalizzazione politica?
Perché al di là delle casse (presenti o assenti), la flottiglia è diventata l’ennesimo terreno di battaglia tra propaganda, diplomazia e opinione pubblica. Nel frattempo, chi continua a pagare il prezzo più alto è la popolazione civile di Gaza.